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Il mio viaggio nella storia del cinema: il 1969

Sono troppo contento che mi avete votato come Best of 2020, se non lo scrivo mi sento male. Detto ciò, il mio viaggio nella storia del cinema prosegue con il 1969.
1969
Tra i volti emergenti dell’epoca ci sono: Edwige Fenech che compare in 8 film tra cui “Alle dame del castello piace molto fare quello”, che titolo; Florinda Bolkan con la sua criniera spettacolare, Michael Sarrazin dagli occhi celesti, Klaus Kinski sempre cattivissimo, Marilù Tolo, Beba Loncar, Enzo Cerusico e Lino Capolicchio, poi Helmut Berger, Peter Fonda, Dennis Hopper e Robert Duvall ovunque, papà Garko e papà Rossi Stuart, Raquel Welch, Dominique Sanda e Katharine Ross.
C’è l’ultimo film di Elvis Presley (il suo periodo migliore coincide con quello di Doris Day e non a caso il declino dei due è stato coincidente, perché a fine anni '60 si percepisce proprio il gusto che cambia e i loro film sono fuori posto), e c’è l’unico 007 con George Lazenby con una incantevole Diana Rigg; nei musicarelli andavano Al Bano e Romina, Mal e Little Tony. Esordiscono Villaggio, Pippo Franco, Lino Banfi ma anche Anjelica Huston. Ci sono tanti drammoni di guerra oltre le 2 ore, che per me sono duri da digerire, idem i musical che durano tanto, tipo “Hello Dolly”, che non è male ma non finisce più e la Streisand è sempre di ¾ come Barbara d’Urso, mi è venuta la cervicale solo a vederla. Tra l’altro nemmeno all’epoca fu un grandissimo successo, anzi l’era dei musical classici praticamente finisce qui.
Ovviamente abbondano gli spaghetti western, quanti ne volete tanti ce ne sono, con Terence Hill, Bud Spencer, Giuliano Gemma, Franco Nero, Anthony Steffen. Però il western che più mi è piaciuto è stato “Il Grinta”, che valse l’oscar a John Wayne. Tra le donne l’oscar invece andò a Maggie Smith che è strepitosa in “La strana voglia di Jean”. Col 1969 si possono vedere anche i primi film del baffuto Fassbinder, e i thriller di Chabrol, che mi sono piaciuti molto.
In tv dalle nostre parti vanno sempre tanto gli sceneggiati, Canzonissima, Mike Bongiorno e cominciano a diffondersi i primi cartoni animati giapponesi tipo Mimì o il mitico Uomo Tigre che lotta contro il male, oltre alla Pantera Rosa e ad alcuni film per la tv che sono già confezionati meglio e sembrano meno di serie Z. C’è una miniserie sui Churchills, c’è la famiglia Brady, Pippi Calzelunghe, e il cult Scooby Doo.
Esce poi un corto chiamato “The lottery” che è un bello choc, qui c’è un innocuo villaggio in cui una volta l’anno si tiene una tradizionale lotteria. Chi vince il primo premio viene lapidato da tutti gli altri partecipanti. Avete mai visto niente di più sconcertante? È su youtube.
Nel 1969 sono sempre più frequenti le scene erotiche e i film sui triangoli sentimentali, sulla bisessualità, sul sadismo (vedi Femina ridens con Philippe Leroy che umilia in tutti i modi la schiava Dagmar Lassander), ma ce n’è per tutti i gusti, c’è in giro Divine, Sarno, Waters, ma anche il nudo-cult di Helen Mirren ancora lontana anni luce dalla fama (nel film Age of Consent), c’è Laura Antonelli, la serie di Emmanuelle e non parliamo poi dei film giapponesi in cui massacrano donne nude come se niente fosse. Ne hanno consumato un sacco di colore rosso in quell’anno lì. C’è un documentario che si chiama “il primo premio si chiama Irene” in cui c’è una parte ambientata in Danimarca con una coppia gay accettata in famiglia come se niente fosse e siamo nel 1969 non 2019! Roba da non credere. Il top del top nel genere però lo raggiunge Ken Russell nel film “Donne in amore” con la scena della lotta tra Alan Bates e Oliver Reed nudi che a quanto pare i due si erano scolati una bottiglia di vodka a testa per paura che l’altro ce l’avesse più grosso. Invece finisce in pareggio in un bagno di testosterone, e nemmeno io ho capito chi mi piace di più. Glenda Jackson pure ha un sacco di scene erotiche qui.
Marlon Brando era assai in declino, aveva deciso di farsi i capelli biondi e sceglieva i film come lo sa solo lui: passa dal thriller a Gillo Pontecorvo, vallo a capire. C’è un film surreale di Robert Downey Senior (giustamente esiste un senior se c’è il junior), e il più figo è sempre Steve McQueen, ma attenzione Steve che Burt Reynolds è dietro l’angolo. Baby Kurt Russell è il Computer con le scarpe da tennis (fa tenerezza questo film è praticamente un’epoca morta e sepolta), e vanno in voga i film sullo spazio visto che questo è l’anno dell’uomo sulla Luna.
Richard Burton è Enrico VIII e vede morta la giovane Bolena Bujold sotto gli occhi della gelosissima vera moglie Liz Taylor, che capitava sul set giusto tanto per marcare il territorio, poi Newman e Redford vanno in giro a fare i fuorilegge, c’è il memorabile viaggio di Easy Rider, e Pasolini e Visconti pure sono attivi, il primo gira Porcile e la Medea, unico film con la Callas e i suoi occhi tristissimi, il secondo con la caduta degli Dei, in cui c’è incesto, pedofilia, omicidio, omosessualità, insomma un film vietato ai minori di 18 anni con una strepitosa Ingrid Thulin che è quella che più mi è piaciuta di tutto il cast. Ci sono ben 2 Satyricon, uno di Fellini e uno di Polidoro, mentre Bergman mette i suoi attori preferiti in un quadrangolo pericoloso, “Passione”, e li intervista anche tra una scena e l’altra.
Ok finalmente passiamo ai miei film preferiti di quest’anno.
Coming Apart” è un curioso film di Milton Moses Ginsberg con protagonista assoluto Rip Torn e un contorno di attrici tra cui la più nota è Sally Kirkland. Qui c’è Rip che ha messo una videocamera nascosta in salotto, così ogni ragazza che si porta a casa dopo lui che è anche psicanalista si rivede per bene tutta la scena. Noi con lui. Per cui qui c’è una sola inquadratura, c’è Torn vestito, seminudo, nudo, abbottonato, seduto, sdraiato, e la sfilza di amanti e amiche. Uno di quei film che non pensi che riesci a portare a termine e invece poi sì.
“I temerari” di John Frankenheimer è un film con quelle vecchie volpi che erano Burt Lancaster e Deborah Kerr e con l’emergente Gene Hackman, un altro dei nomi cult di quest’anno. Ci sono tre paracadutisti che vanno in giro per la provincia americana a dare spettacolo con i loro lanci acrobatici. Il problema è che Lancaster ha i suoi pensieri per la mente, e a ogni lancio gli viene sempre il dubbio di non aprire il paracadute. Questo non va bene. Giunti nella cittadina successiva, sono ospiti della famiglia della Kerr, specialista in limonate fredde dato che altro non ha da fare. 15 anni dopo il bacio sulla spiaggia di Da qui all’eternità, i due hanno un momento di passione. Il marito della Kerr non batte ciglio: la moglie la conosce bene e lo sa che la deve lasciare libera. Lancaster spera che l’amante lo segua in giro nella sua tournee, per lui la Kerr è il paracadute che lo tiene attaccato alla vita, ma lei non è pronta. Il lancio che segue lascerà tutti a bocca aperta.
I brevi giorni selvaggi” di Frank Perry con i giovanissimi Barbara Hershey, Richard Thomas e Bruce Davison è un film in cui questi due adolescenti o poco più un giorno incontrano sulla spiaggia la Hershey, bellissima ed estroversa, e se ne innamorano al primo colpo. A lei sta bene questa situazione e i 3 flirtano tutta l’estate. Una ragazza con tutt’altro carattere (Catherine Burns) cerca di unirsi al trio per fare amicizia. Sì, è sveglia, magari anche simpatica, ma per i 3 è più una da prendere in giro quando non c’è altro di meglio da fare. Quando l’estate sta per volgere al termine le intenzioni dei 2 ragazzi sulla Hershey sono ormai troppo esplicite, e l’immaturità e la foga del momento spingono il trio affiatato a un atto di violenza sulla quarta ragazza, in una delle scene più disgraziate mai viste al cinema, che poi porta la malcapitata Burns alla nomination all’oscar al suo esordio. Girerà solo altri 2 film.
Ucciderò un uomo” è un thriller di Claude Chabrol con il protagonista che ha il figlio piccolo che viene investito da un balordo e muore. L’auto fugge, e nel silenzio dell’alba non ci sono testimoni, il crimine è lasciato quindi impunito. Già vedovo e ora privato del figlio, l’uomo impazzisce e il suo scopo nella vita è cercare l’assassino del figlio e ucciderlo. Impresa tutt’altro che facile, ma l’ostinazione lo portano a mettere insieme piccoli indizi e a trovare la donna che era in auto con l’assassino. Tra i due parte una relazione sempre più intensa che però ha un risvolto imprevisto: ora il novello Montecristo ha imparato a conoscere questa donna e ha anche capito che è tormentata dal rimorso, inoltre il carnefice è il cognato di lei, un essere spregevole: è cafone, bullo, volgare, egoista e fa anche schifo come padre. Troppo bello per essere vero, liberarsi di quest’uomo dovrebbe essere semplice, in fondo non c’è uno che lo vuole vivo. Ebbene…
Non torno a casa stasera” di FF Coppola pre-padrino con James Caan pre-padrino e Shirley Knight giovane e coinvolgente. La Knight ha lasciato il marito così da un giorno all’altro. È incinta ma non sa cosa fare, quindi si mette in macchina e parte. Si vede che non ha mai visto la tv, perché c’è un autostoppista e lei lo fa salire in auto. È mai capitato nella storia della cinematografia che far salire un autostoppista si è rivelata una buona idea? No, e in questo caso in auto ci va James Caan, ma attenzione, non è pericoloso, al contrario è un povero Cristo. Faceva l’atleta ma si è spaccato la testa e adesso è praticamente un bambolotto cresciuto che quello che gli dici quello fa. Shirley Knight un po’ ne è incuriosita e un po’ infastidita. Caan infatti è come una piattola, innocuo sì ma lei vuole sbarazzarsene, così lo porta da un conoscente affinché gli trovi lavoro. Andata via di corsa da questa rogna, viene fermata per eccesso di velocità. Il poliziotto è Robert Duvall pre-padrino, che vuole abbonarle la multa passando con lei una sera a casa. La Knight non ragiona e ci va, anche se questo vuol dire tornare di nuovo sul luogo dov’è Caan. La sera succede un casino, e ci scappa il morto.
La mia droga si chiama Julie” di Truffaut con Belmondo e Deneuve. Dunque Belmondo si sposa per corrispondenza. Per quanto difficile da credere non trova moglie e si è affidato agli annunci matrimoniali. Inutile dire che quando davanti si trova la Deneuve non crede ai suoi occhi ed è amore a prima vista. I due si sposano e vanno a vivere insieme. La Deneuve però è una fetentissima ladruncola, e fatto fesso Belmondo se ne va con tutto il suo conto in banca, che è pure tanto dato che Belmondo è imprenditore pieno di soldi. A questo punto Belmondo potrebbe maledire la moglie oppure mettersi sulle sue tracce, e così fa. Dopo un po’ la ritrova e fa per ammazzarla, ma stiamo pur sempre parlando di Catherine Deneuve al culmine del suo splendore, uno non clicca sul grilletto così facilmente, mi dispiace. E inoltre mancano ancora 30 minuti di film.
Quel freddo giorno nel parco” è uno dei primi film di Robert Altman con Sandy Dennis, icona assoluta della seconda metà degli anni ’60. Alla domanda dimmi l’attrice di cult di fine anni ’60 nomino la Dennis. Qui pare che Altman volesse la Bergman ma lei ha rifiutato lo script ritenendosi offesa del materiale. Così Altman lo passò alla Redgrave la quale suggerì il nome di Sandy Dennis. E così Sandy un giorno guarda dalla finestra e vede un ragazzo sotto la pioggia sulla panchina del parco, così zuppo che ne è mossa a compassione. Prende l’ombrello e va da lui offrendogli di entrare in casa ad asciugarsi. Il ragazzo ci sente, ma non parla, per la Dennis è perfetto: gli puoi dire tutto e non ti contraddice mai. Gli procura vestiti, un bagno caldo, la stanza degli ospiti, gli fa da mangiare. Il ragazzo è divertito da questa situazione, anche se un po’ sconcertato. Il problema è che la Dennis pensa bene di chiuderlo dentro a chiave. Praticamente Misery non deve morire. Mangiata la foglia, lo sventurato scappa, ma la Dennis lo ritrova ed è disposta a tutto pur di riavere il suo bambolotto.
La terza fossa” è un thriller con Geraldine Page e Ruth Gordon. Geraldine Page era bravissima, veramente, parliamo di quel livello di “bravissima” che hanno poche attrici, capaci di muovere il sopracciglio destro di 2 millimetri facendoti in quel momento capire tutta la trama. Questo non sarà il film più bello della Page, ma è un corso accelerato di recitazione. Poi, giustamente, le sue spalle sono altri due pezzi da novanta e cioè Ruth Gordon e Mildred Dunnock. Comunque, la Page qui è una pazza che fa fuori le sue governanti. Prima le tratta una vera merda, e poi quando si è stufata le uccide, scava una fossa nel giardino e ci pianta un albero giusto per tenere il conto. Così quando fa fuori la mansueta Dunnock, Ruth Gordon decide di fingersi governante per capire come mai la cara Mildred non è più tornata a casa. Scova tutti gli indizi, ma Geraldine Page ha le antenne che funzionano perfettamente, e non si fa abbindolare facilmente. Povera Ruth Gordon.
Fiore di cactus” di Gene Saks con Walter Matthau, Ingrid Bergman e Goldie Hawn è un tardivo esempio della commedia hollywoodiana classica, quelle che andavano negli anni ’30. Matthau è un dentista sciupafemmine, la Bergman è la sua infermiera e segretaria, da sempre segretamente innamorata del dottore. Ora Matthau spinge troppo sull’acceleratore e vuole scaricare la sua ultima fiamma, cioè la giovane Goldie Hawn, che ha gli occhioni da cerbiatta, e chi incarica di escogitare il modo più adatto? La Bergman. Lei quindi viene coinvolta suo malgrado nei giochi del principale, ma saprà volgere la cosa a suo vantaggio. Qui la Bergman è strepitosa, è rarissimo che abbia avuto ruoli comici, anzi a parte questo su due piedi non ne ricordo altri, ma il ballo del dentista mi fa morire dal ridere. Brava.
Stephane una moglie infedele” è ancora un thriller di Chabrol con Stephane Audran, Michel Bouquet e Maurice Ronet ed è nella mia top 5 dell’anno, anche se il titolo non mi piace. Comunque Bouquet e Audran sono una coppia felice, così crede lui. Un giorno lui accompagna la mamma all’auto e lei si è scordata gli occhiali, così torna in casa per riprenderli e c’è la Audran al telefono, visibilmente sorpresa. Che vuoi fare Jago, Bouquet ormai gli si è acceso l’interruttore del dubbio. Inizia quindi a controllare con più accuratezza la vita della moglie, solitamente lasciata a casa tutta la giornata. Lei racconta delle sue uscite con amiche, dello shopping, dei massaggi, del cinema, e Bouquet annuisce. Ma oramai non ci crede più. Contatta un investigatore per far pedinare la moglie, e… sorpresa!, ha l’amante veramente ed è Maurice Ronet. Bouquet quindi molto gentilmente un giorno bussa alla porta di Ronet e dice salve piacere di fare la sua conoscenza sono il marito di Stephane, bella la sua casa! Da non perdere assolutamente tutto il dialogo tra i due. Dopo tanti scambi di cortesia Bouquet porta a casa la giornata, diciamo così. Ora bisogna capire se riesce a tornare alla normalità, e cosa ne sarà della moglie. Gran film!
Non si uccidono così anche i cavalli?” è un film di Sydney Pollack ambientato negli anni ’30, con un cast nutritissimo, capitanato da Jane Fonda, poi Michael Sarrazin dagli occhi azzurri, il veterano Gig Young, l’altro veterano Buttons, l’emergente Bruce Dern e l’esordiente Bonnie Bedelia vent’anni prima di Die Hard. Questo film ricordo di averlo visto in tv da bimbo, secoli fa, ma avevo rimosso tutto. Così quando l’ho rivisto mi dico “uh la maratona di ballo! Dove l’ho già vista?”, “uh guarda ora non ballano li fanno correre, ma io questa scena l’ho vista!”, “uh la coppia con lei incinta che fa di tutto per vincere… me lo ricordo!”, e sinapsi dopo sinapsi mi son ricordato che l’avevo già visto. Solo che quando ero piccolo ricordavo di essere coinvolto dalla trama, ma non mi ricordavo assolutamentissimamente che fine faceva Jane Fonda. Così sono stato sorpreso e mi è piaciuto due volte: uno perché è un bellissimo film e due perché mi ha fatto venire in mente le buste di latte a forma di piramide sul ripiano della cucina e il carrarmato Perugina.
Kes” di Ken Loach è un film in cui c’è un ragazzino che vive con la madre che lo trascura e il fratello maggiore, un buzzurro che lo maltratta. A scuola è bullizzato, e ha il peggior repertorio di insegnanti mai visto, eccetto forse 1 che lo prende in simpatia, e meno male sennò era fantascienza. Il ragazzino si chiama Casper e come unico momento di serenità ha quello in cui addestra un falco che ha trovato in compagna. È bravo e paziente e per qualche attimo vive la sua età in modo spensierato. Purtroppo non è che siano tanti quei momenti: deve andare a lavorare, fare le commissioni per il fratello, subire tutte le immancabili punizioni a scuola e infine può tornare a casa. Un giorno rifiuta di giocare ai cavalli per conto del fratello, il quale neanche a dirlo avrebbe vinto una buona sommetta, e furibondo decide di riempire di botte Casper. Il bimbo scappa, ma il fratello ha un altro modo per vendicarsi. Per fortuna questo film non dura tanto perché c’è un limite al numero di soprusi a cui uno può assistere, anche se in fiction, ma il problema è che nel momento in cui finisce il film ti accorgi che vorresti continuasse per avere soddisfazione, ma è del tutto inutile, così ci rimani da schifo.
Bob & Carol & Ted & Alice” è un film di Paul Mazursky con Natalie Wood, Robert Culp, Dyan Cannon ed Elliot Gould. Culp e Natalie Wood sono sposini in cerca di nuove esperienze, e partecipano a una specie di terapia di gruppo in cui ciascuno deve esternare i propri sentimenti e poi tutti si vogliono bene e si abbracciano. Ne escono motivati a dirsi ogni cosa e a non giudicare il compagno. Bob Culp pensa bene di avere un’avventura amorosa e come se niente fosse lo dice alla moglie, la quale non batte ciglio. I due amicissimi Ted & Alice stanno vivendo anche loro un momento di transizione ma sono una coppia affiatata, solo che sembrano meno aperti a certe esperienze. Quando la Wood dice agli amici che il marito ha avuto un’avventura, la Cannon va giù di testa mentre Gould se ne torna a casa tutto eccitato. Imperdibile la scena in cui Gould vuole fare sesso mentre la Cannon non ha voglia, credo sia la scena che è valsa a entrambi la nomination all’oscar. Insomma le cose sembrano essersi normalizzate, ma un giorno Culp torna a casa e scopre la Wood ha pensato bene di avere lei la sua avventura. Una cosa tira l’altra, e i 4 amici finiranno nello stesso letto, ma non è una buona idea. Mai vista la Wood più bella che qui, Culp dal canto suo per una volta si è fatto crescere i capelli lunghi, mentre la Cannon è quella che mi è piaciuta di più.
Un uomo da marciapiede” è la storia di un ragazzo texano bello e ingenuo, Jon Voight, che lascia il suo lavoro di lavapiatti e va a New York in cerca di fortuna. Ha sbagliato città, epoca, e ha sbagliato sogni. Se fosse in reddit sarebbe in iamverybadass. Invece, flashback dopo flashback, scopriamo che ha vissuto con la nonna, che lo piazzava a letto tra sé e i suoi amanti, scopriamo che lui e la ragazza sono stati vittima di uno stupro, scopriamo che ha subito traumi di ogni genere. I suoi stivali, le sue camicie e il suo cappello sono freschi e puliti, la prima cosa che vediamo di lui è che si fa la doccia, pensa che a New York le donne gli sbavino dietro, in fondo lui è cresciuto con la nonna che cambiava un uomo a settimana, cosa ne può sapere, ma invece finisce che nel giro di pochi giorni le sue speranze sono distrutte. La gente non lo considera proprio, vanno a una velocità diversa. È un alieno. È stato tremendo assistere a quelle scene, questo film ti sbatte in faccia la distruzione delle speranze, l’incapacità di guardare in faccia la realtà in un modo violentissimo. Voight finisce a vivere in una stamberga squallida e fetente con l’unico amico che si è trovato, Dustin Hoffman che zoppica e tossisce malamente, Dio mio, mentre faceva quella tosse io gli volevo prestare le mie mascherine, il Covid ci ha rovinati. New York si abbatte su questi due come un morbo: la metro è inquietante, i vicoli hanno i vetri per terra, nessuno è ciò che sembra e come dice Sylvia Miles "la Statua della Libertà si è fatta una pisciata a Central Park". I due poi vanno a una festa in una casa che ha le scale ripide come ne “La folla” di Vidor, quando muore il figlio ai protagonisti. Quando Schlesinger ha inquadrato quelle scale mi è venuta la pelle d’oca, e ho capito tutto.
Questo film (e Easy Rider pure) è un primitivo esempio anche di film in cui la colonna sonora non è scritta appositamente ma è fatta da canzoni già esistenti e questo lo rende modernissimo. Mi ha spalancato la porta degli anni ’70, non vedo l’ora.
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Lamentela e basta (forse esagero?)

Scusate, mi è venuta voglia di sfogarmi e farò un rant un po' lungo. Probabilmente esagero, forse sbaglio, d'altronde non sono un commercialista. Ma c'è una cosa che mi mette tristezza.
Vedo on-line esperti di vari campi che vendono i loro corsi, o ebook autoprodotti, o software in abbonamento, o persino giochi. Ecco, tutte queste persone generalmente sono americane. E hanno un loro sito dove acquistare, con un sistema molto semplice per pagare con carta di credito.
Ora, io mi chiedo una cosa. In Italia com'è possibile fare qualcosa del genere? Mi rispondo da solo: è impossibile, specialmente se devi ancora iniziare.
Mettiamo che io abbia fatto tutta la trafila per aprire una partita IVA, o persino abbia aperto una s.r.l. così risulto più professionale (e tutelato). Molto bene, sono già in rimessa di qualche migliaio di euro ma ci può stare. Ora però, se vendo un software "SaaS" a tipo 3 euro al mese, che faccio?
Emetto una fattura per ogni transazione di 3 euro? Mi costa di più il tempo di fare una fattura così bassa, che il guadagno stesso. Non posso neanche automatizzare l'invio delle fatture, perché se in America basta generare un PDF e inviarlo per email (è una cosa banale e immediata), qui c'è tutto il casino di generare un xml e interfacciarsi con quel casino medievale che è il S.D.I. E poi il commercialista che fa? Per registrare tutte le fatture ci mette del tempo.
Oppure decido di non fare la fattura: se ho capito bene, leggendo su internet, non c'è obbligo di fattura né di scontrino se l'acquirente è un consumatore. Però devo annotare la vendita, entro il giorno lavorativo successivo, in un qualche registro che non ho ben capito, ma penso se ne occupi il commercialista, che ovviamente si fa pagare per il suo tempo.
E comunque c'è da tenere conto che se il consumatore non è in Italia, ma è all'estero, devo seguire tutta una procedura diversa, a meno che non stia sotto i 10.000 euro annuali per quel paese, e in ogni caso dovrò fare l'intrastat e l'esterometro. Via altri soldi al commercialista.
Morale della favola: o lascio perdere, o mi devo far pagare il software una barca di soldi. In ogni caso non ne venderò neanche uno e addio.
Ora io non voglio dire che all'estero sia tutto rose e fiori. Magari ho frainteso delle cose, o non ho capito o non conosco trucchi per semplificare le procedure italiane.
Però sono incazzato, perché ho il forte sospetto che in America tutta questa burocrazia non ci sia, là posso mettermi online il mio bel e-commerce da solo e iniziare a fare business.
Sbaglio? Spero di sì... io prego di sì, perché altrimenti vuol dire che siamo proprio messi male. E che di sicuro la mia idea imprenditoriale qui non potrò metterla mai in atto.
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Il mio viaggio nella Storia del Cinema: dal 1965 al 1968

E con questo ho finito il diario di viaggio per ora, perché sono alla fermata del 1969 e ne avrò ancora per qualche settimana prima di vedere tutto quanto voglio vedere. Poi metterò nero su bianco. Alla prossima!
1965
Prima di dare una rapida scorsa a quest’anno con qualcuno dei film che ho amato di più mi piace fare anche qualche altra segnalazione: tra le mini-serie è nota quella con Juliette Greco: “Belfagor”, che è un mystery molto lento per i nostri gusti, ma l’ho finito lo stesso tutto perché mi piaceva. Parte quest’anno la felicissima serie di “Giochi senza Frontiere”, che per una ventina d’anni fu uno degli appuntamenti più amati dei telespettatori italiani. In tv vanno ancora i fantasy come “Strega per amore”, con Larry Hagman prima di far soldi col petrolio. Esordisce Sally Field nel telefilm “Gidget”, aveva 15 anni.
Passiamo ai film allora, ma devo lasciare da parte Zivago, Connery, Dentone, Giuletta degli Spiriti, Michael Caine, Leone, Burton, Carrà e Julie Andrews. Ahimé.
Repulsion” di Polanski è una delle più belle prove di Catherine Deneuve, che più guardo i suoi film più entra di prepotenza nella classifica delle mie attrici preferite. La Deneuve qui è una ragazza che ha qualche problema: è ossessiva, soffre di disturbi psichiatrici, ha delle allucinazioni. Il suo status peggiora una sera che resta da sola a casa. Nessuno si accorge veramente di quanto soffra e la ragazza peggiora sempre di più, con risvolti drammatici. Dico solo che la scena della crepa nel muro è fenomenale.
Io la conoscevo bene” di Pietrangeli, è un film con Stefania Sandrelli e Mario Adorf. La Sandrelli ha avuto tipo tre carriere: quella di giovane star italiana, quella post-Brass e quella di attrice di esperienza che sta vivendo adesso. Il suo sguardo timido e dimesso di questo film ha molto in comune con quello della Cardinale prima maniera. La Sandrelli vede infrangersi sul selciato le sue speranze di diventare una star del cinema perché gli uomini che le girano intorno la sfruttano e la illudono. Tra questi c’è Adorf, che è un attore che mi piace un sacco. Un genitore tedesco e uno italiano, Adorf si è mosso senza problemi da un set all’altro mostrando enorme versatilità: lo trovi nelle commedie italiane anni ’60 e lo trovi nei film tv tedeschi alla Derrick, per lui nessun problema.
La vita corre sul filo” di Pollack, con Poitier e Bancroft è un thriller che si svolge nello sguardo di Sidney Poiter e nell’ansia di aiutare una donna che dall’altro lato di un telefono amico segnala la sua volontà di suicidarsi. Poiter non è esperto, ma è di turno, e ormai ha preso in carico il caso. Tutto quello che deve fare è trattenere la Bancroft a lungo, molto a lungo, affinché possano rintracciare la chiamata e impedire il suo gesto. Questo film è interessante perché non c’è mai nessuna allusione al colore della pelle di Poitier, non è rilevante per il plot.
Rapimento” di John Guillermin con Patricia Gozzi, Dean Stockwell e Melvyn Douglas. La Gozzi l’ho citata già in un film con Hardy Kruger. A me questa attrice piace molto, è davvero intensa e drammatica. Qui veramente siamo in un contesto di puro e assoluto squallore, perché la Gozzi vive una vita solitaria in un luogo isolato col padre Melvyn Douglas. Un giorno arriva nei dintorni un evaso, e la Gozzi fa amicizia con lui. Lei ha bisogno di vivere, mentre il padre vorrebbe tenerla in casa e buttare la chiave. È uno di quei film che sembra che fuori sia autunno e che piova anche se è mezzogiorno di una giornata di maggio.
La decima vittima” di Elio Petri, vede Mastroianni e Andress in un futuro imprecisato darsi la caccia a vicenda. C’è una specie di reality show in giro in cui ci sono i cacciatori e le prede. I cacciatori devono uccidere 10 prede, e le prede devono sfuggire loro. Non si può mai sapere i gusti della gente. Questo futuro ha comunque i colori degli anni ’60, lo stile e la criniera di Ursula Andress che guarda caso è una delle più brave cacciatrici. Deve far fuori Mastroianni, ma prima vuole un po’ giocare al gatto e al topo.
Bunny Lake è scomparsa” di Otto Preminger, è un cupo thriller con Keir Dullea, Carol Lynley e Laurence Olivier. A dire il vero Olivier ha una parte molto marginale, fondamentalmente è il film della Lynley e di Dullea. Per chi non avesse dimestichezza con questi volti, la Lynley fu attiva a cavallo tra i ’60 e il ’70 ed è una delle vittime del Poseidon, mentre Dullea è la star di 2001 Odissea nello spazio ed è un attore che si è sempre fatto i fatti suoi, non è mai diventato star di prima categoria, ma si è scelto delle parti interessanti come questa qui. Insomma Dullea è il fratello di Lynley, e non si trova la bambina di lei. L’hanno portata a scuola, ma nessuna l’ha vista, le maestre non l’hanno vista, le amiche nemmeno. Questa bimba non esiste. La Lynley se la sarà immaginata? Lei è certa di avere una bimba, è certa, esiste!
Il collezionista” è uno dei film meno noti di William Wyler, con Terence Stamp e Samantha Eggar. Stamp, di lui non c’è mai da fidarsi. Ha deciso che invece di collezionare farfalle gli piace collezionare ragazze, e un giorno cattura la Eggar e la chiude nel suo scantinato. Lui non ha fatto niente di male, la Eggar viene trattata coi guanti, ha da mangiare, ha di che svagarsi, ha tutto, basta solo che sia felice di essere reclusa a vita da un pazzo e che non provi mai a scappare, che ci vuole?
1966
Eccoci al ’66, che bello quest’anno di cinema, bello! Qualche riga su altri generi e poi passo ai film che mi vien voglia di ricordare.
Qolga” è un corto che ho trovato in youtube del regista Kobakhidze. Si tratta di un ragazzo che vive da solo lungo i binari del treno e ha un’amica che ogni tanto lo va a trovare. All’improvviso un ombrello prende vita e inizia a volare da solo. In quest’anno parte la serie “Tre nipoti e un maggiordomo”, con Brian Keith e 3 baby star, ciascuno con la sua dose di sfortuna personale. Questa serie ha i colori e le moquette giuste per immergersi negli anni ’60. Ovviamente questo è l’anno di “Star Trek”, di “Batman” e “Mission impossibile”. Si tratta di tre serie di culto che tutti ovviamente ben conoscono. Tra i rari film tv di buon livello degli anni ’60 c’è uno di Rossellini: “La presa del potere da parte di Luigi XIV” che è anche uno dei film preferiti del padre da parte di Isabella. Poi esce la famosa versione animata del Grinch che ruba il Natale.
Chi ha paura di Virginia Woolf?” è il film che regala a Liz Taylor il suo secondo oscar. Ci sono solo 4 personaggi (vabbé 6 c’è una scena al bar) che sarebbero Liz Taylor e il marito Burton, George Segal e Sandy Dennis. Sono uno più bravo dell’altro. Nel film sono due coppie, una che sta insieme da un po’ e l’altra di recente formazione. Burton e Taylor hanno un passato difficile da superare, ma tirano avanti. La loro casa è lo specchio della loro persona, è piena di cose ingombranti e fuori posto, e tra i due ci sono frecciatine ogni secondo, qualcuna passa inosservata e qualcuna fa assai male. I due sposini sono praticamente scioccati. La scena cult per me è quando Liz Taylor dichiara al marito che pur con tutti i suoi difetti non è comunque un mostro. Sandy Dennis pure brava assai è una delle attrici dimenticate di fine anni ’60.
Persona” è un film di Bergman in cui ci sono due donne, Bibi Andersson e Liv Ullmann. La Ullmann è muta e la Andersson è la sua infermiera. La Andersson parla parla e la Ullmann ascolta e ascolta. Il legame tra le due è forte e particolare. Si vedono sempre più spesso e la Ullmann sembra migliorare, mentre la Andersson mostra una certa inquietudine. Parla, ma a se stessa, e la Ullman risponde anche senza dire niente. Lentamente i loro volti cominciano a somigliarsi sempre di più, e la voce di Bibi diventa la voce di Liv. Non c’è più distinzione tra le due, sono diventate una persona sola. Si stanno fondendo. Ma non è mica possibile una cosa simile.
La nera di…” è un film di Ousmane Sembene, cioè uno dei primi e rari film di autori africani. La storia è molto semplice, c’è una ragazza senegalese che va a servizio in una casa di una coppia francese. Lontana dalla famiglia la ragazza ha il suo lettino, le sue riviste, le sue scarpe, le sue sensazioni, ma la coppia presso cui lavora la considera come il vaso a centro tavola o il quadretto appeso accanto alla porta. Le giornate passano e la ragazza si spegne poco a poco. Tutto qua, ma provate a vedere lo stesso se è tutto qua.
Incompreso” è il drammone strappalacrime di Comencini con Anthony Quayle che diventa vedovo e non si accorge della sofferenza del primogenito, che si sacrifica per il bene del fratello minore viziato dal papà. Non che Quayle sia cattivo, per carità, è solo che non se ne accorge. Il ragazzino gli vuole bene lo stesso e un giorno un ramo fa crac e lui si fa male. Madonna quanto si piange con questo film, cioè è impossibile, nel senso che è non-possibile non commuoversi quando papà e figlio si parlano finalmente a cuore aperto. L’attore protagonista ha recitato solo questo film, oggi è un medico, è stato bravissimo con almeno 4 esse.
La caccia” di Carlos Saura è un film in cui ci sono alcuni amici che vanno a caccia di conigli. Fa troppo caldo. Dovrebbero dar retta ai conigli, ma invece si mettono a ricordare il passato e non so chi glielo fa fare, perché da quel momento nessuno più è al sicuro, e si danno la caccia a vicenda. Vediamo chi ci resta secco.
Davvero c’è tanto in quest’anno: Manfredi e Adorf alle prese con San Gennaro, le solitudini dell’uomo e la donna di Lelouch, i russi che sbarcano negli USA e Fahrenheit 451 di Truffaut. Poi Polanski gira Cul de Sac con la sorella della Deneuve, Eastwood non manca un colpo e le foto di Antonioni di Blow-up dove le mettiamo? Mi sono divertito un sacco con la partita di poker di “Posta grossa a Dodge city”, e l’asinello Balthazar di Bresson è uno dei finali più drammatici della storia, non pensavo che avrei retto tutta la visione di “Andrej Rublev”, e invece sì, e poi c’è il realismo mai visto della “Battaglia di Algeri”. E potrei anche continuare. Uno dei miei anni preferiti insomma.
1967
Siccome col 1966 ho preso per le lunghe, volevo sintetizzare col 1967, ma pure qui c’è un sacco di bei film. C’è pure “The big shave” che è uno dei primi lavori di Scorsese. Un uomo si rade e si taglia. Purtroppo per lui, il taglio non è un taglietto, giusto così perché si trova in youtube e dura 5 minuti.
Il mio film preferito di quest’anno è “La calda notte dell’ispettore Tibbs”. Io non l’avrei mai detto, mi dovete credere, ci avrei scommesso nemmeno 2 centesimi perché i polizieschi un po’ mi stufano, e poi i film che parlano di razzismo negli anni ’60 siccome li sto vedendo in sequenza ne ho visto un casino e poi forse il titolo non mi ispira, ma invece sono rimasto attaccato subito dai primi minuti, adoro Steige e Poitier, e quando Poitier schiaffeggia a sorpresa il tizio nella serra vi giuro è una delle scene più intense e belle e vere, ho cliccato su 10 su IMDb e da lì non cambio idea.
Il problema è che ho messo 10 anche a “indovina chi viene a cena?” che ha il dubbio onore di essere il film dagli albori al 1967 che ho visto più volte in vita mia, ne conto con certezza 6. Potrei dire di che colore sono i fiori nei vasi e quanti calzini ha Tracy nell’armadio. In questo film per me funziona tutto, mi manda dei brividi di nostalgia di un’epoca della quale sono un prodotto culturale, sono un GenX nel midollo probabilmente e sarà per quello che questo film non mi stanca mai.
Non ce la faccio a non segnalare almeno il titolo di “A piedi nudi nel parco” e devo dichiarare che anche se il finale di “Riflessi in un occhio d’oro” è qualcosa di davvero particolare, Robert Forster in quel film è di una bellezza sconvolgente. I colori di “Le Samourai” di Melville sono elegantissimi, il film è una goduria per gli occhi. Poi ci sono i filmoni da macho di Lee Marvin tipo “una sporca dozzina” e c’è Paul Newman e Dustin Hoffman, Dirk Bogard fa venire i brividi in “Tutte le sere alle nove” quando torna a prendere possesso della casa coi 7 figli che ha abbandonato e in “La bisbetica domata” la coppia Burton-Taylor funziona anche se mai lo diresti in quell’ambientazione lì.
Gli occhi della notte” vede Audrey Hepburn nei panni di una cieca che vive al piano terra di una bella casa dove ogni cosa è giusto dove deve essere, ma a quanto pare Alan Arkin è convinto che ci sia anche qualcosa che gli serve per evitare di essere accusato di omicidio. La Hepburn è all’oscuro di tutto (oddio che battuta) ma scema non è, così quando uno strano visitatore si insinua in casa sua con le scuse più formidabili lei inizia a sospettare. È uno dei thriller meglio congegnati mai visti questo qui, e non è nemmeno di Hitchcock! Non avevo mai realizzato quanto siano importanti le lampadine nel frigorifero.
New York: ore tre- L’ora dei vigliacchi”, questo titolo mi fa cagare però il film è bello. C’è la gente che prende la metro per tornare a casa, però è tardi e due grandissimi stronzi e cioè Tony Musante e Martin Sheen hanno voglia di divertirsi a modo loro, così entrano nella metro e iniziano a infastidire uno dopo l’altro tutti i passeggeri. C’è una quantità di arroganza, prepotenza e violenza gratuita in questo film che davvero la mascella si spacca dalla rabbia repressa che ti suscita. Si vede che il film funziona. È quando tu stai per fatti tuoi e questi ti devono bullizzare e non solo: la gente non alza 1 dito per aiutarti! Veramente, questo film è fatto bene. Per non parlare dei poliziotti che appena riescono a entrare nel vagone con chi se la vanno a prendere? No quello proprio non l’ho potuto soffrire! Bel film.
L’armata a cavallo” di Miklos Jancso è un film che fa venire il mal di testa. Siamo in guerra, è la guerra civile russa, ma non è importante, potrebbe essere una qualsiasi guerra. Qui non riusciamo a prendere posizione, la guerra fa schifo non importa di quale fazione tu sia. 10 minuti di film con gli occhi di una fazione e i loro progressi e le loro vittime, nemmeno fai in tempo a riconoscere i volti di queste persone che vengono fatte fuori dagli avversari, e Jancso ti trascina altri 10 minuti dalla loro parte, ti fa vedere i loro progressi e le loro vittime, i loro villaggi desolati e le torture. Ci rimani male, ma ecco che si passa all’altro punto di vista. E’ un film intelligente ed elegante.
C’è ancora lo choc incredibile di “Gangster Story” con il picco di bellezza di Faye Dunaway e il sangue che esplode sulla bianca pelle di Bonnie e Clyde, così come bianca immacolata è la schiena di Catherine Deneuve, perfetta protagonista di “Bella di giorno” di Bunuel, altro film simbolo dell’epoca, un’epoca in cui andavano i film di sexploitation tipo “Vixen” e roba del genere, pieni di tette e recitazione di serie b, ma che entravano a pieno nella cultura di fine decennio, che si sta avvicinando a quel ’68 di cui tanto spesso abbiamo sentito parlare come di una sorta di spartiacque culturale.
Per finire, è intelligente e complesso il volto di Bekim Fehmiu in “Protest” di Fadil Hadzic, ma che le h e le z non ingannino, il film si vede e si capisce perché parla di un’insoddisfazione che non ha bisogno di vocabolario. Poi c’è il cult camp “la valle delle bambole” con la sfortunata Sharon Tate, gli occhi penetranti della Mangano in “Edipo Re”, centomila spaghetti western, è l’altro drammone di Bresson “Mouchette”, con protagonista una ragazza che racchiude in sé tutto il bullismo subito da tutti gli adolescenti della storia della Pubblica Istruzione, veramente solo chi ha il cuore di pietra non si commuove con questa ragazza qui.
1968
Non mi pare vero che sto scrivendo del 1968 perché è l’ultimo anno che ho finito di vedere e anche se questa carrellata non vale poi molto almeno l’ho portata a termine, il che per me vale molto.
Prima di iniziare una piccola deviazione: in quest’anno c’è l’esordio di Spielberg, col corto “Amblin’” da cui quindi deriva la sua casa di produzione che è la Amblin Enterteinment! Altro corto è lo sperimentale “Hermitage”, di Carmelo Bene. Tra le mini-serie esce quest’anno l’Odissea di Franco Rossi. Fu un clamoroso successo riproposto dalla tv nostrana per vent’anni. Il ritmo è lento, ma i volti di Bekim Fehmiu e quello di Irene Papas sono senza tempo. Grandissimo l’episodio con Polifemo e ovviamente il finale coi Proci. Prima di diventare nota come cantante e presentatrice, Loretta Goggi era una precocissima attrice e la “Freccia Nera” fu uno dei suoi più noti successi.
Ok, allora andiamo veloci veloci, con lo stiloso “Diabolik” che era il bel John Phillip Law; le torture che patisce Alan Bates nell”’uomo di Kiev” pochi altri nella storia; Sordi è medico nella muta e Franco Nero aveva gli occhi più celesti mai visti. Sellers fa pisciar sotto anche le statue in “Hollywood Party” mentre la Vitti prende in mano la pistola e si colloca nella sua dimensione comica dopo anni di Antonioni. Rod Steiger è un gay represso ne “il sergente”, mentre Terence Stamp non fa preferenze di sesso in “Teorema” di Pasolini.
Steve McQueen è l’essere più figo mai apparso sulla terra in “Bullitt” e “Il caso Thomas Crown” ma nemmeno Clint Eeastwood scherza e voglio vedere chi scampa a un impiccagione come in “impiccalo più in alto” e chi è scazzato come lui in “L’uomo dalla cravatta di cuoio”.
Fuoco!” di Gian Vittorio Baldi è la sorpresina nell’ovetto Kinder del 1968. Siamo in un paesello del sud Italia e un tizio spara alla statua della Madonna durante una processione, poi si barrica in casa, con la moglie e il bambino che se la fanno sotto, e col fucile in mano si rifiuta di uscire e di dare spiegazioni. Poche parole, un set poverissimo, nemmeno tante spiegazioni ma per 1 ora e mezza sei nella casa e forse nella testa di questo ragazzo. Bellissimo film!
La sposa in nero” di Truffaut è la storia della vedova nera Jeanne Moreau (quanto mi è piaciuto questo film) che si era sposata da 5 secondi che le ammazzano il marito sulle scale della chiesa. Pensa prima di buttarsi dalla finestra poi decide che invece le conviene dare la caccia ai killer del marito. La curva della bocca della Moreau è perfetta per questa parte e vi assicuro che il modo in cui si ingegna per far fuori quei quattro è incredibile. Purtroppo questo film mi fa anche venire in mente la storia di Marta Russo ma lasciamo perdere.
L’urlo del silenzio” è il film che Alan Arkin per me prima valeva 6, 6 e mezzo mentre adesso invece sotto il 9 non scende. Arkin è un sordo muto ed è così solo, ma così solo, che lui il lockdown ce l’ha di default. Mi fa venire la forchetta in gola. Comunque sia affitta una camera in una casa con una famiglia sgangherata ma tutto sommato ok, e fa amicizia con Sondra Locke. Ma nemmeno lei è il vaccino che può curare la sua solitudine. Malinconia a quintalate.
Duello nel Pacifico” di John Boorman ci sono 2 persone solamente e cioè Lee Marvin e Toshiro Mifune. Sono in guerra e sono da soli in un’isola sperduta. Ognuno dei due vuole far fuori quell’altro, ma alla fine prevale la voglia di sopravvivere, chissenefrega se devo chiedere aiuto al nemico. Il finale di questo film, io sottoscritto dichiaro che David Lynch l’ha visto e gli è piaciuto.
E ora acceleriamo su quel pacco gigante pieno di innovazione che è “La notte dei morti viventi”, sul sudore e il calore di “C’era una volta il west”, il mio Leone preferito, sull’indelebile statua della libertà del “Pianeta delle Scimmie”, sui brividi che fanno venire lo sguardo di Sidney Blackmer e i sorrisi di Ruth Gordon in “Rosemary’s baby”, uno dei film che più mi ha fatto cagare sotto in vita mia, per dire due righe in più su “Kuroneko” di Kaneto Shindo, che è la storia di una vendetta operata da due donne vittime di stupro e poi uccise da una gang di samurai. Le due diventano dei fantasmi e uno dopo l’altro, in un’atmosfera onirica e agghiacciante conducono i samurai nel loro nascondiglio per farli fuori senza pietà alcuna. Un film con le palle.
Mi rimangono 2 film, il primo è “2001: odissea nello spazio” e io ho paura a parlare di Kubrick perché su Kubrick tutti hanno un’opinione e sanno argomentare meglio di me, così mi limito a dire che questo film l’ho visto come quando giochi agli incremental e fai prestige. La prima volta 15 minuti, la seconda volta ho retto 30 minuti, la terza volta 1 ora e la quarta volta finalmente avevo le skill giuste e ho goduto da pazzi.
Il mio film preferito del 1968 è “The Swimmer” di Frank Perry e Sydney Pollack, con Burt Lancaster. Lancaster si mantiene bene anche se ha già i suoi anni sulle spalle, e un giorno compare nella villa di amici, si fa una vasca in piscina e poi dichiara che se ne torna a casa a nuoto, passando da piscina in piscina, di villa in villa, lungo tutta la vallata. Armato solo del suo costume, si incammina verso la seconda piscina: una vasca e due chiacchiere coi padroni. Le persone che vede sono inizialmente cordiali e felici di parlare con lui, ma a ogni villa qualcosa non sembra andare per il verso giusto: c’è chi sbruffa, chi gli rinfaccia qualcosa, chi esplicitamente lo manda a quel paese. Lancaster stesso perde lo slancio e un po’ il sorriso. Se a un certo punto si sentiva così bene da poter reggere il confronto con un cavallo, improvvisamente si fa male e inizia a zoppicare. La villa successiva pare più lontana, e più ostile. Ad ogni villa scopriamo un pezzo della vita di quest’uomo, e lui con noi. Non possiamo sentire l’acqua sulla pelle, ma ti monta l’ansia. Lancaster pare invecchiato, i suoi piedi sono sporchi, i suoi occhi lucidi, le sue labbra sofferenti. Un’altra villa, e pare trascinarsi, e una piscina ancora, e nuota a fatica, e finalmente casa.
Non ho dormito la notte perché non volevo fare il mio sogno ricorrente in cui sogno di partire dalla mia casa di bimbo per arrivare alla mia casa attuale, e parto di corsa per poi andare piano, sempre più piano, per poi trascinarmi, fino a che non vedo la porta in lontananza, e non riesco ad aprirla, mai.
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Il mio viaggio nella storia del cinema: dal 1960 al 1964

Sono quasi al termine della mia carrellata nella storia del cinema, perché attualmente mi sto godendo la visione dei film del 1969, nice, e ne avrò certo per 2 mesi. Quindi col prossimo post mi metto in pari, ma intanto ecco qualche spunto per questi 5 bellissimi anni di cinema che sono la prima metà degli anni '60.
1960
Di quest’anno ho visto 275 titoli e ho dato almeno un 8 a 47 film, è un grande anno di cinema ma ne segnalo giusto 5, e tutti italiani! E per complicarmi la vita non parlo né della Dolce Vita, né dell’Avventura, né di Sordi e nemmeno della Ciociara. Mi sono piaciuti? Certo che sì, perché a qualcuno no?
Era notte a Roma” di Rossellini mi piace tantissimo. Intanto è il mio film preferito con Giovanna Ralli, che prima della Ferilli c’era lei, e poi c’è Leo Genn (Petronio di Quo Vadis?), il mio beniamino Renato Salvatori e in un ruolo commovente il russo Sergey Bondarchuk, il quale tra l’altro nel 1959 aveva diretto e interpretato l’intenso e ottimo “Il destino di un uomo”. Torniamo alla Ralli che in piena WWII vive in una casa all’ultimo piano di un palazzo ed escogita gli espedienti del caso per portare a casa un po’ di zucchero, del vino o della pasta. Siccome è sveglia, i partigiani la scelgono per ospitare in gran segreto tre soldati alleati su in soffitta. La Ralli si ribella ma alla fine fa il suo dovere, e i 3 sono al sicuro. Per accedere al soffitto c’è un passaggio segreto dietro l’armadio (Anna Frank mi viene in mente), e i 3 diventano amici tra loro e amici suoi. Ora però il problema è che siamo in guerra e che è un film di Rossellini, non di Walt Disney. Quindi tenetevi pronti.
Adua e le compagne” invece è un gran cast al femminile capitanato da Simone Signoret con il buon supporto di Emmanuelle Riva e Sandra Milo. Molto prima di “Ciro! Ciro!” la Milo era attrice di culto degli anni ’60, e non solo in mano a Fellini. In quest’anno per esempio è accanto a Lino Ventura in “Asfalto che scotta”, per dire. Certo è la Milo, la voce è quella, la figura è quella, la verve anche. Qui hanno da poco chiuso le case chiuse e sfrattato le Signorine che le popolavano. Signoret decide quindi di mettersi in affari e avviare una trattoria in un casolare di periferia insieme alle amiche. Faranno a turno in cucina e ai tavoli, e magari se qualche cliente vuole qualche massaggio, perché no? L’idea funziona e la trattoria va bene, ma le amiche cominciano a voler cambiare vita, o si rendono conto che in realtà non possono. Ci sono quindi 4 reazioni diverse causate dagli eventi che si susseguono. È un film in cui si sorride e che ti dà un po’ di malinconia, ma si sente l’odore di frittata, di cipolla, di basilico.
Dolci inganni” di Lattuada è il primo film che ho visto con Catherine Spaak. Per me la Spaak era una presentatrice tv. Da ragazzo guardavo Harem, o anche Forum quando lo presentava lei. Sì, sapevo che aveva recitato, ma non ci avevo mai fatto caso veramente, mi aspettavo un paio di film senza pretese. Invece, anno dopo anno nel mio percorso cronologico mi accorgo che nella prima metà degli anni ’60 la Spaak aveva i ruoli migliori, era bellissima, brava e tra le attrici più famose. È stata una rivelazione per me. Teniamo presente che la Spaak aveva nel 1960 solo 15 anni. Era bravissima! Per l’età che aveva spesso aveva parti alla Lolita. Qui ad esempio è attratta da un amico di famiglia che ha quasi 40 anni. La Spaak era seducente, fresca, intrigante. Gran sorriso. Questo film e anche altri successivi mi sono parsi modernissimi: la settimana prima vedi le attrici americane con le gonne a campana e il filo di perle del dado Knorr, la settimana dopo c’è la Spaak che flirta con un architetto. Magnifica.
La maschera del demonio” è uno dei film del filone italiano horror. Quando leggo horror penso al sangue e alla motosega elettrica, quindi non faccio una faccia contenta, mi stufo. Però a fine anni ’50 si attiva questo piccolo genere in cui emergono mostri e vampiri che in breve si afferma e crea uno stile invidiato ovunque. Sì, qui una donna viene uccisa con una maschera piena di chiodi acuminati, ma non devi metterti le mani davanti agli occhi perché fa troppo impressione. C’è il giusto bilanciamento tra suspence, storia, effetti speciali e ridicolaggine. Non sono film di livello A+ però sono veramente tipici di quest’epoca, ti fanno capire meglio di altri il gusto di chi andava al cinema in questi anni e per questo per me sono interessanti.
Rocco e i suoi fratelli” è un film che voglio rivedere, ma non so quando sarò pronto per rivederlo. Quest’impressione me la fanno pochi film, quelli che mi colpiscono così in profondità che devo prepararmi psicologicamente alla visione successiva, e anzi devo prima capire se voglio affrontarla. Schindler’s list, Se7en, Casino e Full Metal Jacket sono altri film che mi hanno fatto lo stesso effetto. Dunque qui abbiamo una famiglia di emigrati che va a vivere in un seminterrato a Milano. Sono tanti in poco spazio e si arrangiano. La matriarca è l’ottima Katina Paxinou che capisce e gestisce con pochi sguardi. I figli sono Rocco e i suoi fratelli. C’è qualcosa di buono in questi ragazzi, ma c’è anche la vita in agguato. Le strade che prendono sono forse prevedibili se vogliamo, ma questo le rende anche più tragiche. Una donna entra nella vita dei fratelli Alain Delon e Renato Salvatori. Ora, c’è una scena in cui Alain Delon è disteso sul letto, un po’ sbilenco, con lo sguardo rivolto verso la telecamera, e quella scena è indelebile nella mia memoria, è come se Visconti mi sussurrasse all’orecchio quello che vuole dire. Ma ovviamente il dramma che si consuma tra Salvatori e Girardot è ovviamente il cuore del film ed è la scena che non voglio mai più vedere, perché nel farlo perderebbe forse la carica di sorpresa, sgomento, emozione che mi ha trasmesso la prima volta e ci resterei male, o peggio ancora mi renderebbe ancora più sorpreso, sgomento ed emozionato della prima volta, e ci resterei secco.
1961
Di quest’anno ho visto 250 titoli, e 45 hanno preso almeno 8. Compresso tra due anni fantastici, il 1960 e il 1962, qui mi esalto meno, ma ci sta.
Madre Giovanna degli angeli” di Jerzy Kawalerowicz è uno di quei film che ti fa sentire figo e intellettuale già solo a pronunciare il nome del regista, ma il punto è che mentre scrivo queste righe ho in mente la scena della suora posseduta dal demonio che spalle al muro fronteggia il giovane sacerdote inviato nel convento a indagare, e capisco che quest’immagine così potente è scena da grandi film. Tutto il film è inquietante e malato, intanto sembra più vecchio di quello che è, pare realizzato negli anni ’40, il che secondo me aggiunge disagio alla visione. Però negli anni ’40 alcune scene sarebbero state solo abbozzate e il film avrebbe avuto un diverso impatto. Il prete scoprirà come mai il demonio ha preso possesso del convento?
L’anno scorso a Marienbad” di Alain Resnais è un film che non ci ho capito niente. Lo confesso. Tuttavia, mentre lo guardavo con estrema perplessità ne restavo ugualmente affascinato. Come un bimbo che è schifato da uno scarafaggio spiaccicato sul pavimento e però vuole vederlo ancora più da vicino, più passavano i minuti e più cercavo di capire dove voleva andare a parare Resnais, più mi arrendevo e mi lasciavo ipnotizzare. Alla fine non mi interessa se non ci ho capito niente, so solo che per un’ora e mezza sono stato preso e portato in un altro posto e ho visto qualcosa che non avevo mai visto prima. Per cui, mi è piaciuto.
La primavera romana della signora Stone” di José Quintero invece è un bel melodramma. C’è una signora che fa un viaggio a Roma e si imbatte in un giovane gigolò. Tutto qua ma attenzione: lei è Vivien Leigh e lui Warren Beatty. La Leigh aveva 50 anni mentre Beatty 25. Lei era una rosa conservata tra le pagine di un vecchio diario, lui è il rumore dell’acqua del mare sugli scogli; nello sguardo di lei ci sono tante risposte, quello di lui ti fa fare mille domande. Bellissima e tormentata la Leigh nel suo penultimo ruolo, bellissimo e spavaldo Beatty nel suo secondo ruolo: combinazione da non perdere.
I peplum andavano tanto a inizio anni ’60. Cinecittà era invasa da sandali, toghe, Circi e Meduse. L’epoca d’oro di questo genere è quella che va dal 1958 al 1963 circa. Per ogni Marvel di oggi c’erano 2 Ursus all’epoca. Sansone, Argonauti, Macisti contro Zorro e assurdità del genere. Grandi massi di polistirolo, matrone romane coi capelli stile Jackie Kennedy, ave Cesari e muscoli luccicanti, la gente adorava i peplum. Tante erano le star di questo genere che però non riuscirono a farsi un nome al di fuori. Tutto finì probabilmente con 2 film e cioè la Caduta dell’impero Romano, che fu un fiasco, e Cleopatra, che mandò il genere in burnout e dopo nessuno ne voleva più sentire parlare.
I musicarelli, a loro volta, erano un genere tipico degli anni ’60, In realtà si estendono più o meno dal 1958 al 1972, ma trovano l’apice coi vari Gianni Morandi, Rita Pavone, Caterina Caselli e Little Tony, quindi verso il 1964-67. Bisogna considerare che da Modugno in avanti i canzonettisti dei primi anni ’50 erano già surclassati. Andavano ora gli urlatori. Nasce una generazione di artisti fortunatissima, che in gran parte ancora oggi ha largo seguito, basti pensare a Mina, Vanoni, Celentano, che si affacciano volentieri al cinema di quegli anni. I musicarelli si somigliano: ci sono giovani protagonisti il cui amore è osteggiato dalle famiglie o giovani di talento che cercano di farsi strada nel mondo della canzone. Questi sono i temi. I primi musicarelli sono sequenze di canzoni intercalati da qualche scena con Nino Taranto onnipresente, i successivi sono un po’ più maturi e le canzoni sono più integrate con le storie. Per esempio quelli con Morandi sono così. Verso la fine degli anni ’60 c’era già invece un cambiamento nel gusto sia musicale sia proprio culturale, e si vede che il genere sta per arrivare al capolinea.
1962
Quanto mi piace quest’anno di cinema! Forse è il mio preferito di sempre? Ne ho visti 254 di titoli e ho dato almeno 8 a ben 81 titoli. Secondo me è perché non mi aspettavo che mi piacesse così tanto, provo a spiegare. Quando ero ragazzino io i protagonisti del cinema italiano di questi anni mi sembravano così vecchi e antiquati, che a prescindere io non li amavo e mi rifiutavo di vedere questi film. Sapete come succede coi ragazzi, per loro una moda di 3 mesi fa è archeologia. Quindi quando in tv uscivano Manfredi, Tognazzi, Gassman, Sordi, Mastroianni & co, sbruffavo e dicevo uff che palle e me ne andavo a giocare al Commodore64. Questa è la mia epoca. Ora, trascorsi 40 anni, fedele al mio proposito di guardare di tutto senza preconcetti e con gli occhi di chi vede per la prima volta questi film, resto sorpreso: siamo in un’epoca d’oro del cinema italiano e non solo: le città, le auto, gli abiti, i modi di dire, i gesti degli attori di tutti gli anni ‘60, mi riportano flash dei miei genitori, dei miei nonni, delle persone che vivevano negli anni prima che nascessi io. È come assaporare momenti di una vita che non hai potuto vivere, è bello! Queste cose di cui sto blaterando hanno senso solo a livello personale, certo, d’altra parte questa rassegna “è personale” e non ha la pretesa di indicare quanto oggettivamente di meglio sia uscito in questi anni. Tenuto a mente ciò ecco 5 titoli, giusto per non fare impazzire la scrollbar di chi legge. E lo so che non ho messo Sorpasso, Baby Jane, Antonioni, Kubrick, Frankenheimer e Gregory Peck.
L’angelo sterminatore” di Bunuel è sorprendente. Questo regista aveva iniziato molto tempo prima, 33 anni, col corto d’avanguardia “Un cane andaluso”, quello della lametta negli occhi per intenderci. La sua fase surrealista è importante però mi intriga meno. Dopo un lungo periodo di titoli passati in secondo piano, negli anni ’50 comincia a girare film tra virgolette più classici. Il Bunuel degli anni ’60 per me è a livelli eccezionali. Nell’angelo sterminatore c’è un ritrovo con molte persone che bevono e conversano e flirtano e si disprezzano a vicenda. Ogni volta che qualcuno prova a andar via cambia idea, o viene bloccato, o succede qualcosa di strano per cui non riesce. All’inizio nessuno ci fa caso, ma col passare delle ore inizia a montare l’ansia perché è chiaro che sono tutti intrappolati, come in una sorta di incantesimo. Man mano scarseggia il cibo, l’acqua, e la volontà cede: non riescono ad andar via, sono in gabbia, intrappolati. Il titolo, e il motivo per cui questo succede ognuno lo deve capire da solo.
Anna dei miracoli” non ha niente a che vedere con le aureole ma è la storia molto commovente di una ragazza con gravi disabilità e della sua maestra, che sono Patty Duke e Anne Bancroft. Mentre per tutti la ragazza non è che un caso umano da trattare praticamente solo col pietismo, per la Bancroft è un essere umano capace di comprendere e apprendere, che va educato e a cui bisogna dare delle regole per il suo bene. La sfida che ha davanti la Bancroft è tremenda, perché per ottenere pochissimi risultati ci vogliono settimane di lotte. Il film è una grande prova di attrici, entrambe spettacolari. C’è una lunghissima sequenza nella sala da pranzo, quando Patty Duke si rifiuta di mangiare in ordine e la Bancroft si ostina a insegnarle come fare, che ti lascia senza fiato.
L’uomo senza passato” è un film di un regista francese, Bourguignon, con un protagonista tedesco e cioé Hardy Krueger, e una ragazzina talentuosissima, Patricia Gozzi. Hardy è un veterano, che soffre di amnesia in seguito agli choc subiti in guerra, e vive una vita solitaria e malinconica. Un giorno incontra una ragazzina con la quale stringe un rapporto di amicizia. Lei è sola e ha bisogno di una figura paterna, lui è solo e ha bisogno di sentirsi utile e di voler bene a qualcuno. C’è tanta tenerezza in questo film, e malinconia. Per quanto solo a leggere di un’amicizia tra un veterano e una ragazzina molti subito possono pensare a risvolti poco piacevoli, qui non è mai in discussione l’eventualità che possa succedere qualcosa di male alla ragazzina. Kruger è un gran attore che rifiutò anche una nomination ai Golden Globe ai suoi tempi. La Gozzi a mio parere è tra le migliori baby star di sempre. Al suo attivo solo 6 film nei quali però è sempre formidabile.
L’odio esplode a Dallas” è un film di Roger Corman con William Shatner prima che finisse sull’Enterprise. Shatner non è mai stato uno di quei attori per cui ci si strappa i capelli, ma è bello vederlo in un ruolo diverso da quello a cui siamo abituati. Questo film è bello perché ti sorprende, siamo dopo tutto in piena fase di integrazione razziale, che nonostante Rosa Parks o MLK era ben lungi dal verificarsi compiutamente. Questo film ti mostra un lato del razzismo violento e intenso con gli occhi dell’epoca, senza voler fare troppe morali o senza intenti puramente educativi. Qui c’è l’odio razziale, le croci che bruciano, le scuole per soli bianchi, l’incitazione alla violenza. È un film avanti per i suoi tempi.
Il lungo viaggio verso la notte” è un’opera teatrale trasportata al cinema per la gioia di Katharine Hepburn che così poteva avere per le mani pane per i suoi denti. I personaggi sono solo 4, una famiglia che si ritrova e che si rinfaccia le cose, si racconta le cose, si scopre, si allontana e si riavvicina. È uno di quei drammoni familiari in cui quando un personaggio dice qualcosa per ferire gli altri, ti tiri i piedi dall’imbarazzo. Si segue naturalmente volentieri perché i 4 attori sono tutti di primo livello. Oltre alla Hepburn c’è il veterano Ralph Richardson, c’è Jason Robards e c’è Dean Stockwell che era una baby star a fine anni ’40 e che è riuscito ad avere una lunghissima carriera. Nei primi anni ’60 Stockwell sembra quasi il fratello minore di James Dean. Pare che sul set facesse freddissimo per cui Stockwell si aiutava con l’alcool, al che la Hepburn era indignata, ma quando lo venne a sapere gli regalò una coperta.
1963
Sono ben 289 i titoli che ho visto, con 57 a cui ho dato almeno 8. I miei preferiti in assoluto sono 8 e mezzo e gli Uccelli di Hitchcock, ma scrivo 2 righe su altro.
Blow job” di Andy Warhol è una specie di documentario in cui vediamo il volto di un ragazzo e le espressioni che fa mentre fa sesso. I film di Andy Warhol per me sono veramente dei relitti di altri tempi. Certo negli anni ’60 Warhol era uno degli artisti di prima categoria, ma se parliamo dei suoi film e dei suoi documentari, non dei dipinti allora scusate un attimo. Ne ho visti un sacco e sinceramente non me ne importa niente se faccio la figura di chi non ha gusto o e non ne capisce, ma li trovo orribili, una lotta testa a testa con quelli di John Lennon e Yoko Ono, se è per questo. Mi volevo togliere lo sfizio di dirlo.
Il servo” di Losey, invece qui si ragiona, c’è Dirk Bogarde che entra a servizio nella casa di una coppia che ha i suoi alti e bassi. “Sì signore, certo signore, come desidera signore”. Col tempo, studiata bene la situazione e i caratteri dei padroni le cose cominciano a cambiare. “Se proprio crede signore, come meglio crede signore, appena riesco signore”. Più la coppia scoppia più Bogarde inizia ad avere la meglio nel suo braccio di ferro psicologico col padrone e i ruoli fatalmente si invertono. Bogarde si mette bello comodo in poltrona, e che sia il padrone a mettergli le pantofole, adesso. Questo personaggio è rimasto come forse il più memorabile dell’attore inglese prima della fase Visconti.
La ballata del boia” di Berlanga è il film che mi ha fatto dire “ok mi piace Nino Manfredi”. Per me fino a qualche anno fa era solo Mastro Geppetto, non è colpa mia. Invece negli anni ’60 Manfredi incarna l’uomo medio italiano meglio di chiunque altro. Tognazzi era uomo virile e dai grandi appetiti, Gassman era esuberante e pieno di cazzimma, Mastroianni era sensuale e fatalista, invece i ruoli di Manfredi erano quelli di persone che subiscono gli eventi, che subiscono il rapporto di coppia, che devono ingegnarsi per venire a capo delle cose. Era possibile immedesimarsi in Manfredi. In più era dotato di grande talento comico, anche nei ruoli tragici bastavano due espressioni per farti sorridere anche quando gli capitava di tutto, come in questo caso, in cui sposa una giovane il cui padre è un boia e per tradizione tocca al figlio ereditare il mestiere del genitore, quindi da un giorno all’altro Manfredi ora deve svolgere le esecuzioni dei detenuti, anche se non ha il pelo sullo stomaco. Divertente.
I gigli del campo” è uno dei tanti film degli anni ’60 con Sidney Poitier che si afferma come icona culturale assoluta. Questa storia semplice vede Poitier giungere per caso nei pressi di un piccolo convento. La madre superiora convince Poitier a lavorare per loro, hanno intenzione di ristrutturare un po’, ma Poitier aveva ben altri programmi. Alla superiora non interessa un bel niente dei programmi di Poitier perché se è lì, vuol dire che Dio l’ha voluto lì. Ne vengono fuori tanti dialoghi divertenti, Poitier fa la sua espressione come per dire “che pazienza che ci vuole con questa”, la superiora Lilia Skala è bravissima e in tutto ciò Poitier si affeziona alle suore e trova anche il suo scopo nella vita.
Nella prima metà degli anni ’60 la tv era ormai nelle case di tutti gli italiani, i quali amavano gli sceneggiati, Canzonissima, Mike Bongiorno e il telegiornale. Abbondano i documentari che mostrano i vari aspetti dell’Italia del boom, un Italia ancora molto eterogenea ma per questo tanto interessante da raccontare. Si possono trovare in giro tanti documentari come “Fazzoletti di terra” in cui due contadini si costruiscono le loro terrazze per coltivare sollevando una a una delle grosse pietre a mano. Una vita passata a spezzarsi la schiena. Poi ci sono le interviste sui temi d’attualità ad esempio “In Italia si chiama amore”, e i docu geografici che mostrano le costruzioni di dighe, dei tralicci per la corrente, di sopraelevate e autostrade, che io trovo assolutamente affascinanti. Andavano poi i cosiddetti Mondo film, che erano documentari su temi scabrosi, in genere erotismo e pornografia (tipo “Mondo di notte”, ma affrontavano anche altri temi, per esempio era scioccante “Mondo cane”. Per quanto riguarda gli sceneggiati della prima metà degli anni ’60 vanno citati almeno “La cittadella”, “Il mulino del Po” e “una tragedia americana”.
1964
Il 1964 è un altro anno strabiliante per me. Ho visto 372 titoli tra film, corti, documentari, serie tv. Ho dato 8 o più a 65 di questi. Questo è l’anno della famiglia Addams e di Vita da Strega, è quello in cui parte la serie di Angelica e va di moda Sellers, Ursula Andress, Julie Andrews, Louis de Funes e Gianni Morandi. Bette Davis e Joan Crawford si dedicano al mystery con sfumature horror e diventano famose le sorelle Dorleac: una morirà giovanissima, l’altra ancora oggi è conosciuta in tutto il mondo come Catherine Deneuve. Antonioni gira il suo primo e bellissimo film a colori, Connery è alle prese con Goldfinger prima, con la Lollo e con Hitchcock poi, e la rana in Spagna gracida in campagna. Trionfo per i primi spaghetti western e per Leone, emerge la Sandrelli mentre in declino Doris Day. Classico dei classici per Loren-Mastroianni in “Matrimonio all’Italiana”. Insomma un anno di infinite squisitezze.
Seven up!” è un’idea molto interessante: si tratta di documentare la vita di alcuni ragazzi a distanza di 7 anni. Il primo documentario esce quindi nel 1964, il secondo poi nel 1970 (14 anni), poi 1977 (21), 1984 (28), 1991 (35), 1998 (42), 2005 (49), 2012 (56) e 2019 (63 up). Con la regia di Apted, attraverso le interviste vediamo cosa è successo nelle vite di queste persone.
La caccia” di Manoel de Oliveira regista portoghese morto a 106 anni, è un corto in cui due amici decidono appunto di andare a caccia, ma senza fucili, così niente di male può succedere. Quando si dice il caso: uno finisce nelle sabbie mobili, e sta all’altro amico escogitare il modo per salvarlo.
La donna di sabbia” di Hiroshi Teshigahara è un Thriller nel quale un entomologo va a caccia di insetti in una zona desertica e finisce in una fossa nella quale c’è una capanna con una donna, che trascorre la vita a spalare sabbia, come in un supplizio di Tantalo, ogni santo giorno, per evitare di essere sepolta. L’entomologo è stato intrappolato lì affinché possa contribuire al lavoro della donna e trascorrere con lei il resto della vita. Come un insetto in trappola, l’uomo cerca in tutti i modi di scappare.
“L’uomo del banco dei pegni” è un film di Lumet con Rod Steiger, due garanzie insomma. C’è un ebreo che lavora in un banco dei pegni. Trascorre la sua vita a valutare gli oggetti che gli porta la gente, privato ormai di ogni emozione. Il suo giovane commesso non è niente per lui, i suoi clienti non sono niente per lui. Osserva gli oggetti, li stima al ribasso, ci mette l’etichetta e così passa la giornata. C’è una donna che prova a mostrargli segnali d’affetto: non è niente per lui. Quest’uomo respira, ma non è vivo. Pare che fosse uno dei ruoli preferiti da Steiger, attore dalle scelte molto coraggiose che negli anni ’60 spesso lavora con registi italiani, anche in piccole produzioni. Il film è pieno di sentimenti da scavare in profondità, che esplodono con violenza nella parte finale.
Zorba il greco” è l’amicizia improbabile tra Anthony Quinn e Alan Bates. Quinn è Zorba, che non ha paura di niente e si butta a capofitto nella vita e nelle esperienze. A lui la gente piace, ci parla, ci ride e ci beve, si fa anche i fatti degli altri ma è generoso se serve, e comunque manda avanti la sua vita. È estroverso al 100% ed è un personaggio interessante interpretato magnificamente da Anthony Quinn, attore dalla lunga carriera. Alan Bates è gentile, preciso, riservato, discreto, riflessivo. Non si lancia, chiede permesso, è un tantino represso ma è un buon amico e una brava persona. Quinn adotta Bates e gli cambia la vita. Finiscono per conoscere una donna sola che è Lila Kedrova, che vive nel passsato. Mostra le gambe, si veste coi pizzi, finge una felicità che non possiede più, si comporta da adolescente. La Kedrova cerca ancora la vita e Quinn la accontenta. Questi personaggi così diversi raccontano una storia interessante. Memorabile la morte della Kedrova, con le vecchie del paese che vanno a saccheggiare la casa. Bates è uno degli attori più sottovalutati degli anni ’60 e ’70.
Un giorno di terrore” è il titolo italiano di “Lady in a cage”, che forse è meglio, si tratta di Olivia de Havilland, che è una scrittrice che ha avuto un incidente e quindi è costretta temporaneamente alla sedia a rotelle, quindi si muove nella sua bella casa grazie a un ascensore che la porta dal piano delle camere al soggiorno e alla cucina. Il figlio va via per il fine settimana, ma represso dalla madre ha propositi suicidi, ebbene Olivia resta sola in casa. Purtroppo per lei va via la corrente quando l’ascensore è a metà, e così resta sospesa. Salire non può, scendere non può, saltare nemmeno, arrampicarsi non se ne parla. Suona l’allarme, ma nessuno sente. Non esistevano mica gli smartphone, qui si rischia di restare in ascensore molto, molto a lungo. Succede quindi che un ubriacone entra in casa e sotto gli occhi impotenti della de Havilland pensa bene di accumulare un po’ di refurtiva. Non contento, va a chiamare altri suoi amici, più delinquenti e spregevoli che mai. Capitanati da James Caan, questi teppisti metteranno a ferro e fuoco la casa della de Havilland che guarda impotente quello che accade. Bellissimo e dimenticato titolo che vale la pena riscoprire in onore della mega star di recente morta alla bella età di 104 anni.
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Jason David Frank

Allora, mannaggia al Clero, dovete smetterla con queste cazzo di auto volanti.
BASTA.
E’ dalla copertina di Focus febbraio 1992 che la menate con quest’idea che “tra 10 anni il traffico sarà solo un ricordo”, “basta quattro ruote, ecco la libertà del volo “, “ha-ha-ha, la signora altolocata del Ferrero Rocher si farà sparare i cioccolatini nella bernarda da un macchinario tipo per allenarsi alla battuta a baseball, viaggiando nella privacy della fusoliera del suo mini-Concorde privato mentre Ambrogio guida sereno tra le nuvole per portare la puttana a fare l’aperitivo delle 19 dalla Mariuccia a Portofino”
Ne sono passati 28, VENTOTTO e oggi vedo il video di, perdonate il linguaggio, un povero coglione giapponese vestito da power ranger bianco che, a bordo di un grosso DJI Phantom non telecomandato, decolla, fa un cazzo di giro a 2 km/h di un campo da tennis a tre metri di altitudine, e poi atterra, l’idiota col casco integrale, oltretutto facendo apparire il tutto come un’operazione delicatissima tipo allunaggio one small step for man.
Con dei mongoloidi che spero siano quelli che ci hanno lavorato, e non gli investitori, che applaudono felici come dei maiali nella merda: “WOOOOO L’ENNESIMO TENTATIVO DI FARE UNA COSA CHE NON HA NESSUNA RAGIONE DI ESISTERE WOOO”.
Adesso basta veramente, avete rotto il cazzo e non è più divertente, questa non è un’auto volante e non si avvicina minimamente all’idea dei Jetson dei miei coglioni, tipo che sono in viale Certosa venerdì alle 18:30 e mi cago il cazzo di stare in coda, quindi schiaccio il tastino (cosa che avrei potuto fare sin dall’inizio) e decollo gridando “suca” alle macchine in colonna.
Questo è un piccolo elicottero, con tante eliche, ha i pattini sotto, non le ruote, i pattini, è un elicottero. Non ha classe, non è comodo, non è figo, ha i pattini, non le ruote, è un elicottero.
Fa MEEEEEEEEEEEEEEEE, non VRUUUUMMMMMMMMM, ha i pattini, non è figo, ha le eliche, è un elicottero.
Elicottero che, tra l’altro, maledetto il giorno che Da Vinci a furia di prenderlo in culo si è beccato non so che malattia venerea mangianeuroni e ha teorizzato un mezzo di trasporto che vibra, fa un gran casino, e se si spegne cadi. E muori. Cioè si spegne e cadi.
E non fate i nerd con la storia che si può atterrare anche a motori spenti. Se Kobe è morto in elicottero vuol dire che non devi salire su un elicottero. Fine. Kobe Bryant. E’ morto in elicottero
Che poi l’idea di un mezzo volante privato mi fa pensare solo ed esclusivamente a Harrison Ford, il solito miliardario annoiato che probabilmente si è accorto di essere stato uno stronzo senz’anima per tutta la sua vita e quindi ha bisogno di qualcosa che lo faccia sentire libero e speciale. Ma mica andare sei mesi in una baita in Alaska a pescare, masturbarsi e spaccare legna, figurati, deve prendere il brevetto e svolazzare ubriaco con un P-51 restaurato sopra le teste degli altri poveri stronzi perchè tanto la carriera gli ha annientato l’identità quindi se ammazza qualcun altro sticazzi.
E mentre noi occidentali ce la siamo messa via già da mo’ l’idea che è da malati mentali pensare che un drone di quelle dimensioni possa girare senza essere controllato solo ed esclusivamente da un computer (cosa che comunque ancora non funziona in 2D, figuriamoci in 3D), adesso arriva Toji Suzuhara del cazzo che pensa che tutta la gente del mondo sia come loro cagariso, che se scoreggiano in ascensore mezz’ora dopo si buttano sotto uno shinkansen per la vergogna, e soprattutto che non hanno mai guidato per due settimane nel triangolo Gallipoli-Corigliano D’Otranto-Santa Maria di Leuca, dove fai i fari a uno perchè c’ha lo sportellino del serbatoio aperto e quando lo sorpassi quello ti fa il segno “ti busso” fuori dal finestrino. Così, per partito preso. Sti tizi gialli non hanno la minima idea di cosa voglia dire guidare nel mondo reale.
Per dirla più chiaramente, cari giappi che leggete numerosi il sub litigi, dovete capire che voi siete i piloti del volo JA123, che prima di schiantarsi sono riusciti a rimanere tre quarti d’ora in aria con tutti i sistemi idraulici andati a troie usando solo i motori e urlando risoluti come se l’Imperatore e il suo scroto gonfio fossero a bordo.
Noi invece siamo i piloti dell’Aeroflot 593, i quali, forse sobri, hanno messo ai comandi il figlio 15enne mezzo scemo (chiamato col nome di una razza di Warhammer) che ha pensato bene di spingere la cloche tutto avanti come il biondino coglione russo che era e mandare 75 anime + 150 tonnellate di metallo e cherosene giù per terra come un pezzo di piombo. Solo perchè papi Jaroslav /Frango pensava che il figlio EldaMaicol fosse un genio, e non semplicemente la fermentazione prolungata ed incontrollata del suo sperma difettato.
E se non è direttamente colpa nostra, siamo lo Scandinavian Airlines 686 a Linate, coi radar spenti dagli addetti alla torre di controllo perchè oh ci passano davanti le lontre e che sbatti ci tocca alzare il culo dalla sedia per vedere dalla finestra se quel puntino luminoso sul display è un mustelide o un Cessna che fa gamba tesa come a calcetto ad un aereo di linea che sta decollando.
Ma poi sentite che cazzo di rumore fa diocristo, cioè io non avrei rimorsi ad ammazzare a bastonate chiunque abbia un decespugliatore/sparafoglie/ZX in funzione e mi sta a 500 metri di distanza per più di 30 secondi, se mi ritrovo un affare del genere parcheggiato nella mia via come minimo gli scavallo tutte le eliche e aspetto la mattina dopo per darle in testa allo stronzo che c’ha “l’auto volante”. Che sicuramente sarebbe il coglione 50enne con la giacca e le scarpe a punta che c’ha ancora il mito della scena di Yuppie con Agnelli che passa in elicottero e Boldi che fa “TA TA TA TA TA TA”, e quindi meriterebbe di schiantarsi peggio di Kobe.
Andate a fare in culo e non ci pensate neanche a volare, che tanto dove cazzo volete andare che vi vedo in circonvalla la mattina con la faccia di chi non ha la minima idea di cosa sta facendo della sua vita. Non fate quelli che hanno fretta che tanto non ci crede nessuno.
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L'Italia non può dipendere dalla Lombardia (e viceversa)

[Avvertenza: questo topic-rant vuole nascere per canalizzare la discussione che si sta creando in vista della fase 2 (o meglio fase 1.2) e si prega di non insultare nessuno, da entrambe le parti]
La verità sta spesso nel mezzo, anche quando si parla di risposte al COVID-19. Penso che nessuno sano di mente avrebbe mai pensato che dal 4 Maggio in poi, anche nelle regioni con pochissimi casi, si sarebbe tornati alla vita di prima. E' ragionevole e giusto aprire attività non essenziali come bar e ristoranti solo dal 1 Giugno e porre degli elementi di sicurezza in attività che normalmente richiedono la presenza fisica e ove è impossibile avere distanza sociale consigliata. Questo, insieme a misure economiche per calmierare i prezzi e lasciar navigare chi ha queste attività, è sacrosanto, deve valere in tutto il territorio nazionale e sarà una costante della vera Fase 2.
Ma onestamente il decreto esplicitato in diretta Nazionale da Conte suona solo come un contentino a chi, per fortuna o per buona gestione, ha ormai già superato la fase 1. Il nuovo decreto riapre alcune attività e permette d'incontrare i parenti. Ciò però non è altro che l'estensione della fase 1, ove le attività essenziali sono state sempre attive e per determinati cantieri si poteva anche chiedere la proroga, mentre per vedere i parenti e i nonni si poteva fare tranquillamente con autocertificazione (che tra l'altro rimarrà) per giustificato motivo di salute. I vari meme e altro non sono che lo specchio di questa sensazione e del risultato controproducente che porterà questa fase 2 a essere sottovalutata.
Allora perchè tutto questo? Perchè la prima regione industrializzata d'Italia è il focolaio principale e non si ha il coraggio, volontà politica o altro, di lasciar scorrere più facilmente in questo periodo l'economie regionali diverse dalla Lombardia, per paura di contrastare Confindustria e l'accentramento industriale lombardo. Diventa paradossale come il paese che ha creato praticamente il motore del paese in una sola regione si faccia rendere ostaggio di esso. Il sunto percepito è: la vostra vita, la vostra economia, i vostri soldi sono inferiori, pur essendo tutti noi insieme in un paese unico, a quello della Lombardia.
Chiarisco inoltre che non si tratta di questione Nord vs Sud: ci sono tante regioni al Nord, come Veneto e FVG, che anche loro potrebbero riaprire dal 4 maggio con misure meno restrittive. Si tratta quindi di un'idea sbagliata che, pur partendo da un sunto giusto (siamo tutti uguali in questo paese e se una regione ha bisogno di stare più ferma anche le altre dovrebbero) porta alla conclusione opposta. Sono diversi gli scenari che potrebbero accadere nel mese di Maggio - sperando che a Giugno la Lombardia arrivi al resto d'Italia.
1 - La Fase 2 viene sottovalutata da tutti e si parte con la seconda ondata anche prima di settembre
2 - Le Regioni con contagi prossime allo zero provano ad allentare le misure, incostituzionalmente, e si apre una crisi regioni vs stato su basi giuridiche anche legittime
3 - Il focolaio si sposta nuovamente, anche in regioni del Centro e del Sud, e o si ricomincia nazionalmente tutto o si rendono conto le chiusure devono essere fatte regionalmente, aumentando però l'astio nei confronti delle regioni che prima hanno goduto del beneplacito nazionale
In definitiva, queste mezze misure non sono che lo specchio di un'Italia che si è fondata sul prodotto industriale e terziario creato in una sola regione. Questo co-dipendenza e assorbimento è forse anche il fulcro di tanti problemi del bel paese, che, come ogni crisi rivela nel suo dispiegamento, sono ancor più evidenti.
La stessa area metropolitana di Milano da anni assorbe una forte immigrazione lavorativa, principalmente di alto livello, da tutto il paese (si pensi che la composizione del personale sanitario lombardo è fatta almeno per il 30% da operatori del Sud Italia), lasciando uno squilibrio fondamentale che porta a decisioni del genere. Ciò che vuol dire che la giunta regionale lombarda, che, tra sfighe e mala gestione del contagio, ha fatto in modo che si superasse una soglia critica della diffusione, ha potere, ormai costituzionalmente riconosciuto, superiore rispetto alle sue mansioni e alla sua sfera d'influenza locale, condannando, in un ciclo perpetuo fino al punto di rottura violento, altre regioni di tutto il paese ad avere una produzione socio-economica inferiore e ad entrare in co-dipendenza. Questo è un problema anche per chi è locale in Lombardia, la cui economia e funzionamento di tale dipende esclusivamente da fattori nazionali e non da decisioni e reiterazioni comportamentali della classe imprenditrice, come per esempio in Veneto (con tutti i difetti eh).
La realizzazione di ciò, dell'essere tutti i cittadini di seconda o terza categoria, per un ciclo che si autorigenera di accentramento produttivo in una singola regione, è ciò che sta facendo incazzare tutti quanti.
Aggiungo, alle fine di questo rant, una postilla nei confronti del Sud Italia. Ad inizio emergenza si gridava, questa per una schadenfreude di dubbie origini, di come presto il Sud sarebbe diventato un lazzaretto. Questo non è successo. Ciò che invece è successo è la campagna smerdatica su ogni cosa che accadesse dal Po in giù: prima erano i mercatini della Pignasecca, poi l'elicottero a Palermo, poi che siamo inferiori, poi Mentana che fa "anche a Napoli ci sono eccellenze", poi vari presentatori che si sorprendono che la gente può essere civile anche sotto al Gran Sasso, poi insulti perfino rivolti alla sanità campana, non si sa perchè, visto che il Cotugno è l'unico ospedale epidemoliogico in Europa senza casi tra il personale sanitario o il Pascale è il primo ospedale ad aver creato in Italia una procedura standard per un farmaco sperimentale. Non vi saprei dire perchè s'insiste su questa narrativa estrema che parte da casi accertati e sinceramente veri di bolle di popolazione incivili, ma diventa una bolla giornalistica di per sè; non penso ci sia nessun complotto, nessuna voglia di smerdare una parte del paese, forse un po' di razzismo malcelato, ma più probabilmente, la consapevolezza e la voglia del giornalismo italiano di continuare a vendere l'idea Sud bad perchè porta più click ed è una cosa lontana da molte redazioni laziali e milanesi. E molti, anche qua dentro, ci cascano spesso. V'invito infatti a riflettere come, nonostante tutto questo casino, in prima pagina su Repubblica come primo titolo c'è un articolo su una guardia giurata morta a Napoli in una sparatoia - cose che succedono ahimè in tantissime città, anche ora, ma che per qualche motivo ora è più importante di ogni notizie sul COVID.
TL;DR Il discorso di Conte evidenzia problemi sull'accentramento economico della Lombardia che dobbiamo affrontare prima di avvere al punto di rottura.
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Jazz, una guida all'ascolto - Puntata 1

Leggete questo post quando avete un po’ di tempo e uno stereo decente (o un paio di cuffie) a disposizione, dato che c’è parecchio da ascoltare. O meglio, il brano è uno solo, ma andrà riascoltato diverse volte. Quando siete pronti, possiamo iniziare.
Il jazz è un bel casino. Un sacco di note, un sacco di dissonanze, non si capisce con che strumenti si debba suonare, non si capisce se sia musica scritta o improvvisata, se vada ascoltata ballando o sorseggiando vino costoso. Insomma, un po’ perché è di suo una musica complessa, un po’ per i vari luoghi comuni e le abitudini di ascolto sbagliate, per un principiante non è semplice apprezzare questa musica. Se però tutto ciò non vi intimidisce, posso provare a darvi con questa guida qualche punto di riferimento.
Iniziamo da qui: YouTube - Spotify. Il pezzo si chiama Searchin’, di Jazzmeia Horn, album Love and Liberation del 2019. Jazzmeia è una giovane cantante americana, ha una voce spaventosa, e mi torna comoda come punto di partenza perché suona un jazz molto tradizionale. Fatevi un primo ascolto, poi tornate a leggere. Solo una precisazione (e questo varrà sempre): l’ascolto richiede il 100% della vostra attenzione, non leggete o fate altro nel frattempo.
Fatto? Molto bene, spero vi sia piaciuta, a me piace moltissimo. Ora, un ascoltatore attento, pur se totalmente inesperto, dovrebbe aver notato almeno un paio di cose.
Fin qui direi che ci siamo. Se non siete convinti di questi tre primi punti, riascoltate e verificateli.
Immagino che a questo punto i primi e gli ultimi 30 secondi del pezzo, cioè quelli cantati con le parole, siano abbastanza comprensibili a chiunque. Ciò che accade in mezzo, invece, è un po' più complesso. Usiamo allora proprio le parole come appiglio per la comprensione, eccole qui. Riascoltate i primi 30 secondi leggendo il testo.
I kept searching For someone who could turn my life around, but he never noticed I saw a fella' who had seemed to have wanted A girl like me, but he was too scared to show it I kept prancing and hoping he would like the moves I made, but he never noticed Never enough to find my true love, I keep on trying, but time is flying.
Ora riascoltate di nuovo, e provate a canticchiarlo. Non c’è bisogno né di farlo a voce alta, né di essere intonati, però cercate di farvi entrare in testa la melodia. È importante giuro, fatelo.
Fatto? Molto bene, quello che avete appena cantato è un chorus (in realtà due, dato che si ripete due volte). Il chorus è l’unità strutturale del brano: come nei pezzi pop di oggi si alternano strofa e ritornello, nel jazz tradizionale esiste un’unica sezione che viene ripetuta per tutto il brano.
Immagino che starete obiettando che Jazzmeia canta il chorus solo all’inizio e alla fine, e in mezzo no: giustissimo. Il punto è che anche quando non lo canta, gli strumenti che accompagnano continuano a suonare la stessa struttura armonica sulle stesse battute. Quindi, essenzialmente, cambia la melodia che sta sopra, ma sotto c'è un unico ritornello ripetuto dall'inizio alla fine del brano senza soluzione di continuità. Per chi riesce e vuole contare le battute, il chorus di Searchin’ ne dura 16.
Ecco quindi cosa succede in questo brano.
Adesso vi sarà chiaro lo scopo di questa analisi: se continuate ad avere in testa dall’inizio alla fine la melodia iniziale, avete un punto di riferimento ideale per non perdervi durante i soli. Per inciso, questo è esattamente ciò che fanno i musicisti. Cioè anche per loro, mentre accompagnano e improvvisano, sentono la melodia implicita, e questo viene sempre riflesso (più o meno chiaramente) in ciò che suonano.
È il momento quindi di riascoltare, anche un paio di volte, canticchiandovi in testa la melodia.
Fatto? Se siete riusciti a seguire la struttura, significa che ormai siete in grado di orientarvi da soli. Aggiungo che questo schema melodia-soli sul chorus-melodia è la struttura usata nel 90% del jazz di stampo tradizionale, dal bebop (anni ‘40 circa) a oggi. Il motivo è semplice: questa struttura ciclica è funzionale all'improvvisazione del solista di turno, perché gli consente di decidere sul momento la durata del suo solo.
Ora non mi resta che fare alcune osservazioni sparse sul brano.
Credo di aver detto tutto ciò che avevo da dire su questo pezzo, complimenti alla vostra pazienza se mi avete seguito fin qui. Se vi è piaciuto, vi consiglio di sentirvi i due album interi di Jazzmeia: A Social Call (2017) e Love and Liberation (2019). Dopo Searchin' il mio preferito è sicuramente The Peacocks (pezzo composto da Bill Evans, mica pizza e fichi) nel primo album. Non è necessario fare tutto questo lavoro di analisi per ogni brano che si ascolta, chiaramente, ma è necessario essere concentrati e attenti, questo sì.
Se avete consigli, correzioni o critiche, ogni feedback è ben accetto. Vi ringrazio per l'attenzione, e alla prossima.
submitted by MikeTeodori to italy [link] [comments]

Real Life Soap Opera - FINALE: La Peste a Milano

ep I, ep II, ep III, ep IV, ep V, ep VI, ep VII, ep VIII, ep IX, ep X,
mi piace il fatto che il setting di questo episodio sia ancora più manzoniano del solito. è un buon modo di chiudere. è anche forse più lungo degli altri episodi, come ogni finale di serie che si rispetti.
riassunto della puntata precedente: In seguito a una foto incautamente postata da Lucia, Don Rodrigo si è insospettito e ha costretto Lucia a confessare, almeno parzialmente, della sua tresca clandestina. Venuto a conoscenza del litigio tra i due, Renzo decide di interrompere i contatti con Lucia, la quale però lo invita ugualmente a un incontro della sinistra setta religiosa a cui appartiene. Spinto dalla curiosità, Renzo accetta.
Episodio XI: La Peste a Milano
Renzo e Lucia si sono dati appuntamento la domenica mattina in centro per andare insieme allo strano incontro mistico. Renzo attende con trepidazione il momento, in parte perchè è effettivamente molto curioso di vedere cosa succede in questo culto esotico, e in parte perchè è dell’idea di forzare le cose con Lucia per uscire, in un modo o nell’altro, da questa fastidiosa situazione indeterminata.
I piani di Renzo sono destinati ad essere stravolti da un avvenimento ben più grande delle sue beghe amorose: lo scoppio dell’epidemia di Coronavirus.
Il sabato Renzo è in montagna con un’amica e i loro telefoni non prendono per tutto il giorno. Mentre rientrano a Milano ricevono le prime allarmanti notizie dei contagi in Lombardia. Renzo ha dei problemi di salute pregressi piuttosto seri, e chiama quindi il suo medico per avere consiglio. Siamo ancora in un momento in cui poco si sa di questo virus e per questo motivo il medico, forse con eccesso di prudenza, ingiunge categoricamente a Renzo di non uscire di casa.
Renzo, oltre ad essere preoccupato per l’incombente fine della civiltà, è anche dispiaciuto di non poter andare alla messa satanica il giorno successivo, e chiama Lucia per avvisarla.
La ragazza non solo non prende sul serio le cose, ma si incazza pure accusando Renzo di essersi inventato una scusa per non andare. In realtà subito dopo poi capisce quanto le cose siano serie, anche perchè la setta annuncia ufficialmente che l’evento è annullato.
Come è stato per tutti, questa emergenza epocale ha stravolto i piani di vita di entrambi. Renzo sarebbe dovuto partire per l’estero proprio in quei giorni e stare via diversi mesi ma ovviamente è tutto annullato. Lucia, anche lei, sarebbe dovuta tornare temporaneamente negli USA dalla famiglia di lì a breve, una volta completate le pratiche della cittadinanza, ma è tutto rimandato a data da destinarsi.
Cala, progressivo ma inesorabile, il lockdown. Renzo comincia lentamente ad adattarsi alla triste vita solitaria dello smart worker recluso. Lucia, complice forse la noia, si fa sentire spessissimo ed è come sempre molto piacevole. I due si videochiamano anche diverse volte la sera, a lungo, per scherzare un po’ e tirarsi su di morale a vicenda.
Le scene dei due che, dalle loro tristi stanzette, si scambiano battute e sguardi amorosi attraverso il monitor del portatile sono accompagnate dalla voce di Sting in Every Breath You Take, che sembra scritta apposta.
Passano i giorni. La gente fa i flash mob sui balconi e i telegiornali riportano le prime tragiche immagini di feretri accatastati negli obitori degli ospediali. Il lockdown è totale.
Incurante di tutto ciò, Lucia è ancora una volta imprevedibile: Renzo, vorrei venirti a trovare.
Le obiezioni potrebbero essere mille. Renzo le chiede semplicemente, considerate tutte le regole e i decreti: come fai a venire da casa tua? abiti dall’altra parte della città. la risposta di Lucia è contemporaneamente delirante e inoppugnabile: con la metropolitana.
E così fa. Nei giorni più bui dell'epidemia, mentre i giornali riportano numeri impressionanti di morti e contagiati e i monumenti di tutto il mondo si illuminano del Tricolore, in totale barba a polizia, autocertificazioni e bollettini dello Spallanzani, una mattina qualsiasi Lucia prende bel bella la metropolitana e si fa tutta la città da parte a parte per andare a trovare Renzo.
Dal momento in cui lui le apre la porta di casa passano forse quaranta secondi prima che i due si lancino in una furiosa sessione di sfrenato sesso extraconiugale.
Inutile dire che Renzo si è completamente dimenticato di farsi dire cosa ne fosse stato di Don Rodrigo. Anzi, pensa che non sia cambiato niente tra quest’ultimo e Lucia e che i due siano ancora tecnicamente insieme, altrimenti lei le avrebbe detto qualcosa…
E così è. Un paio di giorni dopo, in piena notte, Lucia telefona a Renzo. è di nuovo in lacrime: ha di nuovo litigato con Don Rodrigo ma non si sa perchè. Dice a Renzo che non ne può più e che ha delle considerazioni importanti.
Uno, non tornerà negli USA per l’estate ma rimarrà in Italia. Due, appena finisce il lockdown si impegnerà per cercare lavoro a Milano. Tre, crede che la sua relazione con Don Rodrigo sia diventata sterile e inutile e sta pensando di mollarlo.
PUBBLICITA’ Il marketing ha impiegato meno di chiunque altro ad adattarsi al coronavirus e adesso le pubblicità sono tutte uguali.
“E’ già dal 1932 che noi di Brambilla&Figli siamo vicini agli italiani. In questi tempi difficili, quando tutti siamo lontani, vogliamo essere più vicini che mai a tutti voi, e per questo noi di Brambilla&Figli ci stiamo impegnando tantissimo per ripartire tutti insieme appena tutto sarà finito” il tutto accompagnato da gente che canta sui balconi, gente felice con la famiglia in case giganti che si videochiama, e un’infermiera piuttosto fica che sorride.
...Lucia sta pensando di mollare Don Rodrigo. Renzo si trattiene dal dirle che era ora che si svegliasse. Che ci sia voluta una tragedia mondiale epocale per farla rinsavire?
Sembra che tutto volga per il meglio per Renzo e Lucia. Due righe fa i due scopavano come ricci e adesso sembra che lei voglia mollare il fidanzato. Sembrerebbe proprio una di quelle storie d’amore che finiscono bene, dove tutti vivono felici e contenti.
Il colpo di scena finale sarebbe stato facilissimo: questo è l’ultimo episodio. ora spengo il portatile, che Lucia sta dormendo vicino a me e non voglio darle fastidio.
E invece no. La differenza tra le storie vere e quelle inventate è che quelle vere non finiscono con un crescendo di tensione e un colpo di scena finale in cui si risolve tutto. E questa è una storia vera.
Quello che succede è che la situazione già spiacevole del lockdown per Lucia diventa ancora peggiore: la ragazza comincia ad avere seri problemi economici perchè non può nemmeno fare quelle due lire che faceva prima ogni tanto con lavoretti occasionali e le sue misere riserve sono finite. Tutta la sua famiglia negli states non sta lavorando, anche loro causa Coronavirus. Le mandano quello che possono ma l’affitto a Milano è costoso.
Su consiglio di Renzo parla con il padrone di casa che è una persona molto disponibile e sarebbe disposto a non farla pagare del tutto, ma sia lei che la famiglia di lei non si sentono di dipendere così dalla generosità dell’anziano signore e alla fine si accordano per metà affitto.
Non è che stia letteralmente morendo di fame, però questa situazione la riempie di ansia e apprensione.
In più, l’Innominato sta dando fuori di matto. Minaccia continuamente Lucia di andare al comune e di spifferare all’Azzeccagarbugli che la ragazza non abita più da lei. Non si capisce perchè lo faccia, forse vuole dei soldi che comunque Lucia non ha, o forse è solo un continuare della sua personalità oppressiva, o forse ancora lo fa per effettiva paura del fatto che sta violando la legge? non si sa.
Se l’Innominato andasse davvero in comune a fare casino le conseguenze per Lucia potrebbero essere serie, non tanto per aver dichiarato una cosa non vera, ma perchè dovrebbe ricominciare tutto l’iter burocratico da zero nel nuovo comune di residenza, con annesse spese economiche, il problema di dover trovare un affitto regolare, e ulteriori mesi e mesi.
A un certo punto l’Innominato effettivamente va in comune e effettivamente denuncia che Lucia non vive più lì. Nero su bianco. In un paesino minuscolo tutti si conoscono, e l’Azzeccagarbugli sa quanto l’Innominato sia una persona orribile. Pertanto, chiama Lucia subito e si fa spiegare tutto.
Lucia chiama Renzo per avere un aiuto con la comunicazione e così i tre hanno una bizzarra comunicazione telefonica triangolare in cui una Lucia con la voce rotta spiega, attraverso Renzo, la sua storia all’impiegata del comune di Roccaminchiona.
L’azzeccagarbugli, intenerita dalla situazione, decide di nascondere il documento firmato dall’Innominato finchè le pratiche di Lucia non siano finite, ma non potrà farlo ad libitum. Quindi raccomanda di finire tutto con la massima fretta. il problema è che mezzo mondo è in lockdown e anche le ambasciate lavorano a rilento…
Lucia è una persona molto sociale, abituata ad andare in giro tutte le sere con gente varia, ridere e fare casino, e avrebbe avuto difficoltà ad adattarsi all’isolamento anche nel migliore dei casi. E’ anche chiaro a tutti ormai che non è esattamente la persona più emotivamente solida del mondo.
Le ansie economiche, la paura dell’Innominato, il traballare della lunga relazione con Don Rodrigo, l’altalenarsi dei sensi di colpa con Renzo, la solitudine del lockdown in un paese straniero dove si sentiva già sola in tempi migliori. Tutte queste cose si sommano l’una con l’altra and it wears her out. Lucia è triste, sola e molto depressa.
Lucia non chiama più Renzo nel mezzo della notte per raccontargli cosa ha sognato. Non gli invia più video di Trump per ridere delle cazzate che dice. Sono finite le videochiamate affettuose serali in cui le risate di Renzo facevano picchiare i vicini sul muro. Niente più foto in cui mostra orgogliosa a Renzo quale ricetta italiana ha impietosamente massacrato con impegno.
Quelle rare volte che si sentono parla con voce abbattuta e confessa di piangere in continuazione, di voler tornare a casa e di voler essere lasciata sola. Lui prova a tirarla su sparando un po’ di cazzate come ha sempre fatto ma non funziona più.
Quando invece è Renzo a farsi sentire lei risponde a monosillabi o non risponde affatto.
Da quando i due hanno cessato ogni contatto è passato un altro mese. Secondo le ultime informazioni Il master che Lucia voleva fare non si sa nemmeno se ci sarà, e difficilmente lei troverà lavoro per mantenersi mentre studia. Appena finite le pratiche e appena permesso dalle restrizioni al trasporto internazionale, Lucia tornerà a casa negli States, per rimanerci.
Schermo nero. la sigla finale è un blues lento, tristissimo. Fine
e io, –disse un giorno al suo moralista- cosa volete che abbia imparato? Io non sono andato a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire, –aggiunse sorridendo– che il mio sproposito sia stato quello di volerle bene, e di legarmi a lei.
I guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta…
The Police - Every Breath You Take
R.E.M. - It's the End of the world as we know it (and I feel fine)
Radiohead - Fake Plastic Trees
Daniel Norgren - Stuck in the Bones
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Real Life Soap Opera - Episodio X: Parigi val bene una messa

ci avviciniamo alla fine della storia… probabilmente questo sarà il penultimo episodio.
ep I, ep II, ep III, ep IV, ep V, ep VI, ep VII, ep VIII ep IX
riassunto della puntata precedente: Lucia è stata cazziata da quella ficcanaso di Gertrude per la sua relazione clandestina con Renzo. Lui e Lucia inizialmente decidono di interromperla, ma subito dopo ci ricascano. Incombono poi diversi problemi: da una parte i sensi di colpa altalenanti di Lucia che minacciano di far esplodere tutto, dall’altra la sua insistenza nel cercare di tirarlo dentro a quella che sembra sempre di più una sinistra setta religiosa.
Episodio X: Parigi val bene una Messa
in questo periodo Renzo cerca di barcamenarsi tra tutte le incognite di questa storia incasinata. Frequenta Lucia senza sapere bene cosa fare sul lungo termine, cerca da una parte di evadere i suoi pressing religiosi e dall’altra di ottenere più informazioni a riguardo, e viene impietosamente preso per il culo da chiunque.
Infatti, Tonio e Bortolo sanno tutta la storia, e con loro tutti i colleghi e gli amici di Renzo. Il poveretto lavora in un open space con dentro un centinaio di persone della sua età e le storie girano, soprattutto quando sono fantozziane quanto questa.
Ora ogni volta che entra in ufficio viene accolto da innumerevoli allora Renzo quand’è che si va a messa?, come sta Pinochet? (appellativo per Lucia nato da un’incomprensione circa la sua nazionalità, e rimasto), è passato un sudamericano incazzato che ti cercava… e così via.
Un po’ per gioco e un po’ no, Renzo, Bortolo e una collega stanno cercando di mettere insieme i pezzetti di informazione che Lucia ha dato per capire quale sia effettivamente la setta a cui lei appartiene. Le informazioni in realtà sono molto poche, ma qualcosa Renzo è riuscito a farselo dire: Lucia ha detto di essere protestante, il che restringe leggermente il campo, Renzo sa anche gli orari degli appuntamenti fissi di lei, e vagamente i posti in cui lei e gli altri accoliti si ritrovano.
Con questi dati e un bel po’ di ricerche tra google e social network vari, i tre restringono il campo a due associazioni che sembrano semi-religiose: una è una robaccia new age di self-improvement americana tipo scientology che sembra fondamentalmente uno scam per farsi dare dei soldi, l’altra è un movimento di massa nato in Australia, che stando a internet riempie interi stadi e ha sedi in tutto il mondo. Entrambe le associazioni hanno riunioni settimanali e appuntamenti fissi la domenica negli orari giusti. Nessuna delle due sembra una pista troppo promettente.
Da parte sua, Lucia sta finendo i suoi corsi di Italiano e le pratiche per la nazionalità. La burocrazia italiana è nota per essere farraginosa, ma lei ci ha messo del suo: quando è arrivata in Italia infatti, per risparmiare, è andata a vivere in un paesucolo inutile di 1500 abitanti in una provincia vicina, presso una lontana conoscente della sua famiglia, che sarà d’ora in poi L’Innominato.
L’Innominato si è rivelata poi essere una persona orribile, con dei disturbi mentali non indifferenti, che maltrattava Lucia, la minacciava quando tornava a casa in ritardo, le impediva di uscire di casa e così via. Lucia è quindi praticamente fuggita dalla casa dell’Innominato per venire a vivere a Milano.
Il problema è che aveva iniziato l’iter burocratico mentre risiedeva a Roccaminchiona, e quindi risulta ancora legalmente risiedente là, e questo noon può essere cambiato. La sua pratica è seguita da un’impiegata del comune di Roccaminchiona, gentile ma non troppo brillante, che prenderà il nome di Azzeccagarbugli. Senza far scoprire all’Azzeccagarbugli che ormai sta a Milano, Lucia si deve recare regolarmente nel paesello per fare le pratiche. In contemporanea deve tenere buono l’Innominato che, agli occhi della legge, è garante del fatto che Lucia risiede sempre là.
Gertrude non si è più lamentata, forse pacificata da qualche finta rassicurazione di Lucia, forse rassegnata all’inevitabile.
Renzo e Lucia continuano con la loro frequentazione low-profile e le loro gite fuori città. è dopo l’ennesima di queste che succede il fattaccio.
PUBBLICITA’ non guardo la TV da anni e non ce l’ho nemmeno in casa. ho finito le idee. Di conseguenza l’inserzionista di oggi sarà una roba vecchissima che ricordo dalla mia infanzia: la Fabbrica Dei Mostri. Un’atroce fornetto elettrico che permette di sciogliere delle plastiche probabilmente tossiche, versarle in stampini di piombo e produrre così insetti, vermi e animaletti vari colorati. Come facessimo a divertirci con quella roba rimane un MISTERO.
Siamo arrivati ad un weekend di fine Febbraio, Renzo e Lucia hanno passato il sabato mattina a vedere un museo, il sabato pomeriggio da lei, e la domenica a visitare una cittadina d’arte a un paio d’ore da Milano. Il giorno successivo, Lunedì, Renzo chiama Lucia all’uscita dal lavoro, come consuetudine, per fare due chiacchiere e decidere se vedersi o meno la sera.
Lucia risponde in lacrime. è successo un casino, non possiamo più parlarci. Renzo riesce in qualche maniera a tranquillizzarla e a farsi dare una spiegazione: è successo che Lucia ha postato su qualche social network una foto della loro gitarella del giorno precedente. Don Rodrigo ha visto la foto sul social e, nonostante Renzo non fosse inquadrato, si è insospettito. Ha cominciato a fare domande sempre più insistenti a Lucia su dove fosse andata, con chi e così via, finchè lei non ha ceduto e ha mezzo confessato di ”aver conosciuto qualcuno con cui si trova molto bene” (Sic).
Comprensibilmente Don Rodrigo si è incazzato e ha minacciato Lucia di mollarla, il che ha scatenato un litigio tra i due.
Renzo è stanco, stressato dal lavoro e stufo di questo continuo tira-e-molla alla Charlie Brown. Dice chiaramente a Lucia che, se lei vuole evitare di creare problemi alla sua relazione con Don Rodrigo, allora la devono smettere davvero di vedersi e sentirsi. Si scusa per non esserci riuscito la prima volta e promette di non disturbarla più. Chiude la conversazione e spegne il telefono.
Questa volta niente musica triste sulla scena di lui che torna a casa: è più incazzato che dispiaciuto. Le immagini sono solo accompagnate dai rumori freddi e impersonali della metropolitana e della pioggia battente.
Bortolo scommette che ricominceranno a sentirsi dopo tre giorni, l’altra collega dice una settimana.
In realtà di giorni ne passano due, ma Lucia si muove da una direzione completamente inaspettata: senza particolari preamboli chiede a Renzo, in modo quasi supplichevole, di andare in chiesa con lei la domenica seguente. Dice che per lei è molto importante e vorrebbe che andassero insieme.
Quando Renzo le chiede diobuono non mi hai mica detto che non dobbiamo più cagarci puttana la miseria, lei risponde di stare tranquillo e che ha sistemato: ho parlato con Don Rodrigo ed è tutto ok.
Renzo non sta più capendo. è tutto ok cosa? cambiare idea ogni sei secondi? avere l’amante? andarci in chiesa? La scena di Renzo sorpreso e perplesso da queste parole deliranti è accompagnata dalle note psichedeliche di Brain Damage.
Mentre Renzo sta ancora processando e non sa come rispondere Lucia gli manda i dettagli dell’ipotetico appuntamento. Colpo di scena! E’ la setta degli australiani.
Stando a google si tratta di una megachurch pentecostale (checchè significhi) con più di ottanta sedi nel mondo, centocinquantamila presenze alla settimana, piena di soldi. è’ nata da due predicatori di Sydney, ha un sito fichissimo e una serie di scandali finanziari, sessuali e politici alle spalle.
Ogni settimana organizza un “incontro” in un teatro lussuosissimo del centro di Milano. Nella descrizione di questo incontro le parole “Amore” “Gesù” appaiono circa un miliardo di volte in tre righe.
Da una parte c’è l’incazzatura per l’irragionevolezza di Lucia, dall’altra è tornata prepotente la curiosità. Renzo probabilmente legge troppo e ha troppa fantasia: nella sua mente si generano visioni esagerate di neri che cantano gospel e ballano come nei Blues Brothers, americani in trance che svengono al tocco di predicatori-star, folle che osannano leader religiosi alla Paul Atreides in Dune.
I colleghi ovviamente lo spingono ad andare: mi metto dei baffi finti e vengo anch’io, che figata, filma tutto, dai vai, quando ti ricapita una roba del genere, finchè non lo convincono. Renzo accetta l’invito di Lucia.
Il piano è quello di andare, vedere com’è questa messa satanica, capire che idee ha Lucia, e nel caso salutarla definitivamente. Lucia è di gran lunga la ragazza più piacevole e divertente con cui lui abbia mai avuto a che fare e le è molto affezionato, ma è anche decisamente fuori di testa.
stacco sui titoli di coda sulle parole tristi e accusatorie di Sossity, You’re a Woman. Fine dell’episodio X
Pink Floyd - Brain Damage
Jethro Tull - Sossity, You’re a Woman
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Delle app di contact tracing

Riporto un mio articolo pubblicato qui. Lo riporto integralmente, quindi non avete motivo di cliccare se preferite di no :P
Partiamo subito dal punto: da tecnico, le prese per il culo “dai i dati a Facebook per sapere che verdura sei ma poi ti lamenti dello Stato che ti chiede i dati” sono una cosa che trovo penosamente ridicola. È uno di quei casi in cui si cerca di prendere in giro gli ignoranti dimostrandosi, su quell’argomento, ignoranti.
Provo, per quanto possa risultare spocchioso, a fare un minimo di chiarezza.

Di che parliamo, intanto

Parliamo di contact tracing, ovvero tracciamento dei contatti. Il contact tracing è una tecnologia (o una tecnica, dato che si fa anche tramite intervista “a mano”) che permette di sapere, in una qualche forma, con quali persone è stata “a contatto” una certa persona.

Ma quindi è la geolocalizzazione?

No. La prima cosa enorme da capire sul contact tracing è che non ha nulla a che fare con la geolocalizzazione, che è un’altra tecnologia con tutt’altro scopo. La geolocalizzazione è una tecnologia che serve a sapere, sempre in una qualche forma, dove sia stata una certa persona in un certo momento. Non è utile per il contact tracing, per almeno due motivi.
Il primo è che funziona decentemente solo a determinate condizioni, prima fra tutte l’essere all’aperto: non funziona negli edifici, non funziona in metropolitana, non funziona in certi veicoli, non funziona se il tempo è molto brutto.
Il secondo è che si basa sulla posizione geografica delle persone, e il fatto che due persone siano geograficamente vicine non significa che siano a contatto. Due persone a trenta centimetri tra loro ma con un muro in mezzo non sono a contatto, e questo con la geolocalizzazione non lo capisci. Due persone a zero centimetri tra loro su una mappa, ma una al primo piano e l’altra al ventesimo piano di un palazzo non sono a contatto, e anche questo con la geolocalizzazione non è banale saperlo (si potrebbe, ma che in un grattacielo l’altitudine sia accurata è improbabilissimo).

E allora come si fa?

Non c’è un modo davvero accuratissimo, in realtà, ma c’è un modo abbastanza accurato, che è l’utilizzo di Bluetooth Low Energy, un protocollo che normalmente serve a far comunicare il telefono con altri apparecchi, telefoni compresi, ma che ha un sistema per vedere quali dispositivi Bluetooth Low Energy si trovano nelle vicinanze. Avendo un raggio di scoperta molto piccolo (e regolabile, piú o meno), risolve entrambi i problemi esposti prima: non vede persone vicine ma con massicci ostacoli in mezzo, e non vede persone lontane come vicine.
Rispetto alla geolocalizzazione, si perde un’informazione: non si conosce dove fosse la persona. Si tratta però di un’informazione completamente inutile ai fini del tracciamento del contagio: mi interessa sapere con chi sei stato, dove foste è irrilevante.

E una volta “sentito” chi è vicino?

Ci sono due diverse scuole di pensiero su cosa fare dopo che il telefono di Anna ha scoperto che quello di Bruno è vicino.
La prima scuola di pensiero dice che il telefono di Anna debba dire a un server gestito da qualcuno “Ciao, sono l’app numero 123, ho appena incontrato da vicino l’app 456”. La seconda scuola di pensiero, invece, dice che tale informazione andrebbe salvata sul telefono.
Se Anna dovesse ammalarsi di COVID-19 e venire certificata come malata, “qualcuno” (possibilmente il sistema sanitario nazionale) dovrebbe “premere un pulsante” sull’app di Anna, che nel primo caso dirà al server “ehi, avvisa tutte le app con cui sono venuta a contato di mandare una notifica al loro utente!”, mentre nel secondo si occuperà lei di contattare tutti gli id che ha memorizzato e dirgli “ehi, manda una notifica al tuo utente”. Bruno, come tutti gli altri stati a contatto con Anna, si troverà sul telefono una notifica del tipo “Sei stato recentemente vicino a una persona che si è ammalata, chiuditi in casa e avvisa il sistema sanitario nazionale, che ti farà un tampone”.

Le problematiche

Ognuna delle due scuole di pensiero ha i suoi problemi. Nel primo caso, quello del server centrale, c’è un server centrale con tutti gli incroci di dati possibili. Non sono di banalissima interpretazione, ma forse se ne possono trarre piú informazioni del lecito, non ho le competenze per dirlo. Il secondo caso, quello con i dati sui telefoni, ha il piccolo grande punto debole del casino da fare per trasferire i dati in caso di cambio telefono.
Esiste poi un’altra problematica tecnica, risolvibile ma con cautela: i recenti sistemi di sicurezza dei telefoni, per motivi molto validi, non permettono a nessuna applicazione di tenere continuamente il Bluetooth in ricerca e visibile. Ovviamente si può chiedere ai produttori di fare uno strappo alla regola, ma non sempre possono (ci sono telefoni obsoleti) ed esistono buoni motivi per cui la regola esiste.
Infine, c’è una problematica di privacy: se l’app chiede qualsiasi cosa all’utente, dal nome ai dati sanitari, bisogna essere assolutamente sicuri che non comunichi tali dati al server, quantomeno senza un ottimo motivo, perché a quel punto sul server ci sarebbe l’informazione, del tutto inutile per le finalità del sistema, su chi è stato con chi. Non vedo motivi perché debba esserci.

Ok, ma tanto diamo tutto alle aziende private, perché non allo Stato?

Anche qui tocca procedere per punti.

Non diamo tutto alle aziende private

Intanto, no, non è vero, non diamo tutto alle aziende private. Diamo molte cose, è vero, spesso senza neanche accorgercene. Diamo la nostra posizione, diamo la lista dei nostri amici (non solo gli amici sui social, che valgono poco, ma anche le rubriche telefoniche), diamo alcune informazioni sui nostri gusti e sui nostri acquisti.
Non diamo però assolutamente a nessuno informazioni su ogni singola persona a cui siamo stati vicino. È un’informazione che al momento nessuno ha e che non esiste da nessuna parte. La creeremmo con quest’app, dando allo Stato (e, non è ancora escluso, ai privati che gestiscono l’app) un’informazione del tutto nuova su di noi.

Le aziende private hanno scopi diversi da quelli dello Stato

Le aziende private raccolgono i nostri dati per un fine ben specifico e molto remunerativo: vendere ad altre aziende la pubblicità. Non ci sono molte altre cose sensate che un’azienda possa fare (qualcuna c’è, ad esempio vendere valutazioni di rischio assicurativo e cose del genere, specialmente avendo dati sanitari) e nessuna include il perseguire persone per quello che fanno.
Lo Stato, invece, ha un certo interesse a controllare i cittadini.
Io sono di quelle persone che dello Stato italiano attuale si fidano abbastanza. Lo Stato però è una cosa che cambia nel tempo, e non sempre cambia in meglio. Dare allo Stato un accesso facile alle informazioni è una cosa molto pericolosa. Molte informazioni lo Stato può averle lo stesso, eventualmente dalle aziende private, ma con una certa fatica che non rende vantaggioso cercare di averle anche quando non è davvero importante averle. Rinunciare a questo paletto è un grosso passo, che si può benissimo non voler fare.

Le aziende private sono controllate

Sì, OK, fanno spesso quello che gli pare, ma fino a un certo punto. Le aziende private sottostanno a leggi, a organi di controllo degli Stati, e devono pagare spesso molto salato (in Europa salatissimo) se sbagliano. Se io utente di un loro servizio mi vedo fare un torto, ho tribunali a cui rivolgermi.
Lo Stato non funziona così, lo Stato le leggi se le fa. E dato che in Italia siamo tecnologicamente ignorantissimi e grandi amanti dell’uomo forte al potere, del legislatore non mi fiderei poi tanto. Se lo Stato dovesse usare i tuoi dati contro di te facendoti torto e si trovasse a farlo legalmente, non hai nessuno a cui puoi rivolgerti.

Caveat

Non sto dicendo, attenzione, in alcun modo che siano meglio le aziende private o meglio lo Stato. Posso preferire dare i mei dati per la pubblicità ma non rischiare domani di essere arrestato perché oggi ho partecipato a una manifestazione di un partito che sarà bandito domani, o posso fidarmi dello Stato ma non volere pubblicità basate su miei dati.
Essere d’accordo con dare dati a privati non è la stessa cosa che essere d’accordo con il darli allo Stato, e se a uno va bene una cosa non è affatto detto che gli debba andare bene pure l’altra in automatico.

Ma insomma Immuni te la scarichi o no?

Posto che con tutta probabilità l’app del governo italiano (ma anche tutte le altre) arriverà parecchio tardi perché sia utile — per fare le cose bene ci vuol tempo e il tempo non c’è — , la installerò certamente se risponde a due requisiti che ritengo importantissimi.
Primo, deve essere anonima, perché può esserlo. Ti serve poter notificare le persone a cui sono stato vicino, non ti serve né sapere chi sono (o forse sì, ma devi convincermi), né se soffro di *inserire malattia* (e qui no, non mi convinci, non ti serve).
Secondo, deve essere ispezionabile. Devo sapere cosa viene inviato davvero, se viene inviato qualcosa.
Mi sembrano due requisiti piuttosto semplici da rispettare. Qualcosa mi dice che invece…
Aggiornamento 23/4: e invece pare si torni all’idea di un sistema decentralizzato, con i dati sui telefoni e non online, perché posto come requisito tecnico per far tenere il Bluetooth acceso da parte di Apple e Google.
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Campionato Crowex Formula GTA

Descrizione

Il campionato Crowex è il primo campionato italiano per monoposto a ruote scoperte di GTA in Italia. Il campionato è promosso e sponsorizzato dalla crew MC Demonhunter.

Durata evento

L'evento durerà otto settimane, ed inizierà circa nella seconda metà di febbraio. Le monoposto usciranno il 12 febbraio con molte probabilità, per cui probabilmente il campionato inizierà il 19 od il 26 febbraio. Ulteriori informazioni saranno disponibili più in là.
Le iscrizioni saranno aperte dal 19 gennaio 2020 al 19 febbraio 2020. Le modalità di iscrizione saranno spiegate più in là.

Calendario

Il calendario prevede otto circuiti differenti, che devono ancora essere stabiliti. Se i circuiti Rockstar supereranno i test, saranno utilizzati fino ad otto di essi, altrimenti saranno utilizzati circuiti di altri giocatori. Ulteriori informazioni saranno date più in là.

Monoposto

La monoposto scelta è la ventura Progen PR4, la cui controparte reale è la McLaren MP4/6 del 1991.

Le novità

La monoposto ha delle caratteristiche uniche nell'ambiente di GTA Online: una trazione del 33,3% maggiore della Annis S80RR e un motore del 89.17% più potente della Krieger. Inoltre, le auto di questa classe avranno tre tipologie di gomme: dura, media e morbida, che avranno prestazioni e affidabilità differenti, per creare delle strategie di gara. Infine, saranno possibili dei "pit stop", nel quale i piloti entreranno nella pit lane e potranno riparare i danni e montare delle gomme nuove. Infatti, i danni all'ala anteriore ridurranno notevolmente la trazione in curva e le gomme saranno soggette a blistering, che usureranno le gomme (e sarà possibile notare l'usura dello pneumatico) fino a perdere aderenza e, infine, bucare.

Specifiche tecniche

La monoposto fa parte della classe "Monoposto" e dovrà rispecchiare alcune modifiche standard (da regolamento), ed altre modifiche del team personalizzabili. Di seguito è riportata tutta la lista di modifiche da realizzare:

Team

I team saranno composti da tre piloti ciascuno, per avere un totale di dieci team e trenta piloti. Ogni team dovrà rispettare lo stesso schema di livrea e colore per essere facilmente riconoscibile. È consigliato, laddove le modifiche sono a discrezione del pilota, accordare con il team le modifiche di parti aerodinamiche, per avere una maggiore uniformità e chiarezza nei team.
I team hanno lo stesso nome della livrea che dovranno installare. Il colore da inserirvi sarà quello descritto in questa sezione (colore primario, colore secondario):
Nota: dove è segnato "//" vuol dire che la parte interessata è coperta interamente dalla livrea e che quindi la scelta del colore secondario è ininfluente.

Svolgimento delle gare

Le gare hanno uno svolgimento massimo di 30 minuti. Ogni gara dovrà avere una lunghezza totale dei 50 km, quindi il numero di giri totali sarà l'arrotondamento della divisione "50 km/lunghezza del tracciato", dove il decimale da 0.00 fino a 0.49 è convertito per difetto all'unità più bassa e il decimale da 0.50 a 0.99 sarà convertito per eccesso.

Qualifica

Non c'è qualifica. Prima di ogni gara, la griglia di partenza sarà fatta randomicamente utilizzando un programma di estrazione randomica. I risultati dell'estrazione saranno dati con anticipo rispetto all'inizio della gara.

Gara

La gara deve essere in modalità GTA, per permettere all'host di avviare uno start e poter entrare ed uscire dalla monoposto. Una volta disposta la griglia di partenza, l'host dovrà lanciare una bomba adesiva oltre la linea del traguardo in una posizione sicura, ovvero lontano dalla pole position, e rimettersi in posizione di partenza in griglia. Una volta all'interno della monoposto, dovrà annunciare il "Pronti" e far esplodere la bomba adesiva entro dieci secondi dal "Pronti". Una volta esplosa, la gara inizia e si terminano tutti i giri o, se la gara dura troppo, i 30 minuti più un giro. Al termine della gara, quando tutti hanno oltrepassato la linea del traguardo, si stila la classifica e si attribuiscono i punti nella modalità riportata in seguito.

Classifica

Al termine di ogni gara, stipulata la classifica della gara, sono assegnati i punti ai primi quindici piloti, secondo lo schema riportato qui sotto:
Una volta assegnati i punti, viene aggiornata la classifica generale, che comprende la classifica piloti e la classifica costruttori. La classifica costruttori viene formata sommando i punti di tutti i piloti per ciascun team.

Regolamento

Regole generali

  1. Non essere scorretti: giochiamo questo campionato per proporre qualcosa di diverso e divertente.
  2. Seguire le indicazioni dell'host senza fare troppo casino: gestire trenta persone tutte insieme non è semplice e bisogna muoversi nella maniera più ordinata possibile.
  3. Non utilizzare armi: solo l'host è autorizzato ad utilizzarle e solo per ciò che è descritto nel regolamento. I piloti che usano armi possono essere soggetti a sanzioni che vanno dalla squalifica all'estromissione dal campionato.
  4. Essere leali e sportivi: se si aderisce al campionato si gioca all'interno di un team, quindi è richiesto rispettare il proprio team come i team avversari. È richiesta anche la massima disponibilità (salvo cause di forza maggiori, che vanno comunicate possibilmente per tempo) e la partecipazione a tutto il campionato. Non seguire queste regole potrebbe comportare delle sanzioni.

Regole di gara

Di base, si può considerare questo link come regolamento generale. Per farla breve, possiamo considerare le seguenti regole:
  1. È considerato pista il nastro d'asfalto all'interno delle linee bianche. I cordoli, le vie di fuga e la pit lane non sono comprese. Bisogna mantenere sempre almeno due ruote all'interno della pista. Numerose infrazioni possono portare ad una penalità di 5 o 10 secondi.
  2. I piloti devono utilizzare la pista per tutta la durata delle prove. Non possono tagliare porzioni di pista come tornanti o chicanes. Possono uscire di pista solo in casi di estrema gravità, salvo rientrare in pista il prima possibile.
  3. Non è permesso tenere condotte di gara pericolose: bisogna gareggiare con l'auto nelle migliori condizioni possibili. Ruote bucate vanno cambiate immediatamente, pena la squalifica dalla gara.
  4. Non è permesso fare dei cambi di direzione bruschi per impedire il passaggio di altri piloti. È severamente vietato correre in direzione opposta a quella stabilita. Tali comportamenti possono portare sanzioni che vanno dalla penalità di 5 o 10 secondi all'estromissione dal campionato.
  5. È permesso utilizzare tutta la larghezza della pista durante le prove.

Sorpassi

  1. È permesso sorpassare un altro pilota in ogni momento della gara. I sorpassi dovranno essere effettuati nella maniera più pulita possibile, evitando contatti tra le monoposto.
  2. Un contatto è sempre considerato "azione di gara" e nessun provvedimento viene preso, salvo ricorsi a fine gara. Se l'entità del contatto è tale da pregiudicare il proseguimento della gara di almeno un pilota avversario, il pilota che causa l'incidente deve attendere, sul bordo della pista in una zona lontana dalla racing line ideale, il pilota incidentato. Il pilota incidentato, inoltre, deve entrare appena si rivela un intervallo di tempo in cui la pista è libera, al fine di non provocare altri contatti pericolosi.
  3. Il difensore deve lasciare all'attaccante abbastanza pista da permettergli di sorpassare. Tagliare la strada è considerato un'azione scorretta.
  4. Il difensore può fare un solo cambio di direzione in fase di sorpasso, per difendere la propria posizione. Fare più di un cambio di direzione è considerato un'azione scorretta ed il difensore deve lasciare all'attaccante la propria posizione. Il cambio di direzione non è permesso se l'ala anteriore dell'attaccante supera la linea delle ruote posteriori del difensore.
  5. Se l'attaccante taglia una porzione di pista (chicane o curva) per guadagnare la posizione, la deve restituire immediatamente.
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Analisi capitolo 966 by La Zattera di Teach

ANALISI CAPITOLO 966- ROGER E BARBABIANCA
Ben ritrovati Zatteracci! Come state? Siete contenti del regalo di Natale che zio Oda ha fatto per noi? Io sono ancora in fomento, ma cercherò di riprendermi e di ricominciare a ragionare perché abbiamo tanto di cui discutere! Quindi senza indugi e sotterfugi cominciamo dalla…
MINIAVVENTURA
Dopo i pirati dei Germi, arrivano pure i Marines a mettere i bastoni tra le ruote a Capone e compagnia. Ormai è palese che Oda stia cercando di allungare il brodo e guadagnare tempo. Ma perché lo starebbe facendo? Beh, vi ricordate cosa vi dissi a suo tempo quando iniziò la miniavventura? Che con questa occasione Oda avrebbe potuto farci sapere qualche notizia riguardo il Revierie grazie a Re Riku. Difatti il sovrano non è ancora tornato, e ciò che vediamo serve solo per far passare un po’ di tempo prima del suo ritorno. Nel mentre, Capone inconsapevolmente si è pure guadagnato la fiducia del re avendo salvato il paese dall’attacco dei pirati, pensa un po’…
ROGER VS BARBABIANCA
Certo, non avrei sicuramente rifiutato un capitolo intero di sole botte tra Roger e Newgate, o quanto meno due o tre tavole in più non sarebbero state male, ma dato che Oda è trollone, uno degli scontri più attesi viene saltato con il classico skip del “tot giorni dopo”. Sarebbe stato interessante vedere pure Rayleigh e Oden incrociare le loro lame, oppure scorgere qualcosina pure da parte di Scopper Gaban, definito da Roger stesso come uno tra i più forti dei suoi uomini (andando così a confermare la teoria dei metalli), ma vabbè, ci becchiamo una sola splash page dello scontro. Però, cioè, che tavolozza signori e signore. L’aura di quei due è talmente forte che le spade nemmeno si toccano (i due utilizzano proprio il nuovo tipo di Haki che Rufy ha appena imparato a padroneggiare, quello del non tocco ma faccio ugualmente casino). Lo “scontro” tra le due ciurme dura tre giorni e tre notti, e finisce con un bel pareggio. Questo risultato fa pensare.
Ok che entrambe le ciurme non hanno fatto proprio sul “serio”, o per meglio dire non hanno combattuto con l’intento di uccidere o per salvarsi la pellaccia, dato che ormai la loro è una rivalità sfociata in amicizia, quindi tutto è stato per il puro divertimento, ma ciò in ogni caso fa pensare che la differenza sostanziale tra Roger e Newgate è lo scopo e l’obbiettivo finale che ognuno persegue, dato che in principio e di base, entrambi si equivalevano più o meno. Barbabianca, come se non fosse chiaro già da prima, non mai è diventato Re dei pirati non perché non ne avesse le capacità o l’occasione, ma anzi, sarebbe potuto diventare tale pure prima di Roger dato che il talento, la forza e la fortuna erano tutte caratteristiche che gli appartenevano. E questo ci riconduce al fatto che per diventare Re dei pirati, non per forza devi essere il più forte del mondo, e che quindi Rufy può benissimo sconfiggere Kaido anche in combo ad altre persone e non necessariamente da solo, senza perdere così smalto nel raggiungere il suo obbiettivo.
COSA NASCONDE TEACH?
Apro una piccola parentesi su questo argomento, dato che ha fatto nascere non pochi spunti. Oda i dubbi te li fa nascere in 3 secondi anche con una semplice frase messa in bocca ad un personaggio a caso. Ricordiamo che quando in una SBS a Oda fu chiesto di disegnare i membri della flotta dei sette da piccoli, Eiichiro disegnò un Barbanera in lacrime sotto la luna. La frase di Buggy sul “Teach non dorme” sembra quindi non essere del tutto buttata lì. Abbiamo diverse opzioni:
-La prima, nonché la più probabile, si basa sul fatto che Teach possa soffrire di insonnia a causa del suo passato turbolento. Se diamo credito alla storia per la quale Teach è veramente un trovatello, è possibile che la perdita dei genitori e quindi la sua triste infanzia abbiano influito sulla sua personalità, tanto da creargli incubi e ,magari, essere talmente tanto diffidente da non riuscire a chiudere occhio in presenza di estranei. La frase sul “mostro” di Buggy può essere dunque una semplice esagerazione data non solo dall’età, manche dalla natura di Buggy.
-La seconda ipotesi è quella che da invece molto credito alle parole del piccolo clown, il quale ci avrebbe visto lungo sulla natura di Teach. È nato con questa peculiarità(un po’ alla Katakuri)? Fa parte di qualche tribù che detiene queste caratteristiche?
-Altre ipotesi ancora vanno a considerare la sua natura sotto forma di dualismo, in quanto in lui convivrebbero due entità distinte (magari è la voce della seconda entità che non lo fa dormire la notte, oppure mentre uno è attivo l’altro dorme). Si spiegherebbe magari così la frase di Marco a Marineford in riferimento alla natura strana di Teach, nonché la sua capacità di ingerire due frutti, uno a testa per le sue “presenze” all’interno.
Le possibilità sono tante, e molte altre ne possono nascere. Sta di fatto che l’unica cosa certa è che Oda non lascia mai nulla al caso, quindi le parole di Buggy ed il suo accorgimento potrebbero non essere stato un caso.
ROAD STAR
Abbiamo un nome per l’ultima isola indicata dai log pose, dopodiché anche loro si chiedono “e mo’ che famo?” e iniziano a girare all’impazzata e fare tricche e ballacche. La lungimiranza di Roger però lo ha portato a dire che forse c’era dell’altro, e investigando di qua e di la è arrivato alla conclusione che ormai tutti noi conosciamo, ovvero di Laugh Tale. Ci tengo però a ricordarvi che questo viaggio non per forza deve essere percorso da pirati e da cercatori di tesori. Dato il nome dell’ultima isola , ormai possiamo benissimo associare le varie tratte percorribili col Log Pose alle presunte costellazioni presenti sullo schienale del trono vuoto presente a Mary Geois, e lo schienale a puntale ricorderebbe l’ago del Log Pose. Il tesoro da ricercarsi dunque a Laugh Tale non è soltanto materiale, ma è anche qualcosa che coinvolge il mondo intero, che il governo vuole tenere nascosto. Ormai è appurato lo stretto legame tra Laugh Tale ed il governo, ma mi incuriosisce il legame tra quel trono e la Road Star. C’è da chiedersi se il One piece sia stato nominato così da Roger, o se sia semplicemente un nome che questui ha portato a galla…
LA SECONDA PARTE DEL VIAGGIO DI ODEN
A malincuore, il Baffo Bianco lascia andare Oden e la sua famiglia. Vorrei però soffermarmi su alcuni dettagli. Barbabianca è un grosso cucciolone che ci tiene molto alla famiglia, quindi separarsene anche solo per un anno è qualcosa che gli duole molto (la scena di lui che rifiuta i tesori e anzi rimanda indietro le provviste perché preoccupato per la famiglia di Oden è veramente molto bella!). Il legame creatosi tra Barbabianca e Oden è senza dubbio molto intenso, a tal punto da considerarsi fratelli a vicenda, quindi vorrei proprio vedere come reagirà quando scoprirà la fine che farà il suo amato fratellino a causa di Kaido. Inoltre lo stesso Vista che tiene da parte gli altri vassalli di Oden , perché ormai suoi compagni e perché non vuole separarsene, sono quei dettagli che ti fanno apprezzare l’opera di Oda ancora di più. Infine mi volevo soffermare sul gesto di Roger, ovvero sul suo chinarsi davanti al suo rivale di una vita. Roger è fatto così, se ne frega dell’orgoglio e delle stupide dispute, pur di raggiungere il suo sogno è disposto a chinarsi mostrando tutta la sua devozione nel raggiungimento del suo obbiettivo. Roger non bada ai titoli e alle nomee, tant’è che ha affidato addirittura suo figlio a Garp, un membro della marina. Inizia così la seconda parte del viaggio di Oden, alla scoperta non solo di ciò che gli manca da vedere nel mondo, ma anche alla scoperta del passato della sua famiglia, del legame che essi hanno con i Poneglyphe e di cosa il destino gli riservi, dato che come lui stesso ha fatto notare, l’incontro con Gol D. Roger non gli sembra una coincidenza poi così tanto fortuita. Spero vivamente che il flashback continui, e che non venga interrotto, perché sono veramente curioso di sapere come procederà il viaggio, nonché quali collegamenti si andranno a creare con Toki. Di certo però, Oda non farà mai vedere il loro approdo a Laugh Tale, ne tanto meno come trovare l’isola, visto che sono pilastri dell’opera troppo grandi da far vedere in questo momento. Son comunque curioso di vedere l’ascesa al trono di Orochi e l’arrivo della Kaido gang.
Zatteracci, fatemi sapere cosa ne pensate e apriamo il nostro solito dibattito qua sotto! #Law Edit a cura del buon #Cico
Fonte: La Zattera di Teach
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Antonella - Si può dire addio - YouTube Paolo Carta - Non si può dire mai... mai! - YouTube Si può dire cancro? - YouTube L'amore che non si può dire (Angelo Ruggiero) - YouTube Si Può Dire Olé? - YouTube Cosa Si Può Dire di Te? (Remastered) - YouTube Cosa Si Può Dire di Te? (Remastered) - YouTube L'urlo storico di Marco Tardelli: SI PUÒ DIRE SENZA VOCE - Lettura animata - YouTube

Quando si parla di autodisciplina e di pubblicità per il gioco e per i migliori casino online con bonus sembra sempre che si parli di qualcosa di estremamente astratto e pure “disdicevole”, almeno qui nel nostro Paese e, sinceramente, non si capisce bene il perchè: in altre realtà, anche perché incoraggiato da diverse direttive europee, questo ruolo tende ad essere assai importante ... Questa specie di governo, ha fatto tanti di quei DPCM che ora non sa più come sbrogliarsi dal casino (si può dire?) che ha combinato. E pensare che ci sono il 19+15% di connazionali che lo votano! Si tratta probabilmente del casino online AAMS con il maggior numero di giochi complessivo. C'è poco da dire da questo punto di vista. Qualsiasi tipo di giocatore, dall'occasionale all'appassionato, dalla casalinga all'esperto di giochi da casino, può trovare qualcosa di adatto ai propri gusti. Insomma, si può dire che la vera realtà del gioco è l’insieme di tutto questo e lo rappresenta senza esclusioni: è come una enorme contenitore che raggruppa fattori diversi e dove ognuno merita attenzione e, sopratutto, una adeguata “trattazione”. Perché si usa così tanto dire “che casino”, inteso come caos?, La consulenza 11.10.16 ... L'italiano da non maltrattare: cosa si può dire e cosa non si deve dire Con Antonio Bolzani La parola "casino" si può ottenere (usando una volta sola la parte uguale) da: casi+sino, casi+asino. Intarsi e sciarade alterne "casino" si può ottenere intrecciando le lettere delle seguenti coppie di parole: csi/ano. Intrecciando le lettere di "casino" (*) con un'altra parola si può ottenere: * caì = cascinaio; inni * = incasinino. Casino online nuovi – Guida completa ai casino lanciati di recente in Italia e ai loro bonus ... Il casinò consolidato, avendo già uno zoccolo di clienti fedeli, può, se così si può dire, vivere di rendita introducendo di tanto in tanto delle novità, ma senza esagerare. Casinò Non AAMS. I casinò online non AAMS stanno rivoluzionando il mondo del gioco sul web. Grazie a licenze rilasciate non da autorità italiane, come l’Autorità Dogane e Monopoli, bensì straniere, questi casinò garantiscono sicurezza e affidabilità e nel contempo nuove possibilità di gioco.Offrono inoltre migliaia di opzioni differenti, bonus di benvenuto accattivanti, la revoca ... In media, vengono elaborati entro 12-24 ore. Lo stesso si può dire delle carte prepagate e dei pagamenti in criptovalute. In più nel 99% dei casi, il miglior casinò online non applica commissioni di prelievo.. Strategie del casinò: il modo di vincere nei casinò online. Non è vero dire che è impossibile vincere al casinò. La parte del leone, se così si può dire, la fanno sicuramente le slot online AAMS, più di 350. Queste slot radunano il meglio delle più note software house internazionali tra cui Microgaming. Troviamo qui molte tra le slot online AAMS più popolari, come Blood Suckers e Immortal Romance. Leovegas è perfetto per il gioco da mobile.

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"Per sapere chi comanda, basta vedere chi non si può criticare", frase attribuita a Voltaire. Ma non solo non si possono criticare gli ebrei, non si può nemm... Anche se l’81% degli spagnoli è contrario alla corrida, questo terribile spettacolo sanguinario continua non solo a esistere, ma viene pure finanziato dall’E... Provided to YouTube by WM Italy Cosa Si Può Dire di Te? (Remastered) · Pooh The Collection 5.0 ℗ 2014 Warner Music Italia S.r.l. a Warner Music Group Company... Provided to YouTube by WM ItalyCosa Si Può Dire di Te? (Remastered) · PoohAlessandra℗ 2014 Warner Music Italia S.r.l. a Warner Music Group CompanyArranger: G... Marco Tardelli: "Non riesco a raccontare cosa ho provato in quel momento. O lo fai e sai cosa hai provato se no non hai l'emozione nel raccontarlo. Anche l'e... Share your videos with friends, family, and the world (da "L'amore che non si può dire", 2003) Antonella - Si può dire addioIscriviti al canale: http://bit.ly/Lisciotv Seguici anche suhttps://www.facebook.com/lisciotv/https://twitter.com/buenasuertesas... Paolo Carta canta Non si può dire mai... mai! Testo di Armando Quintero, illustrazioni di Marco Somà, Glifo Edizioni.Sì può dire senza voce “ti voglio bene”?Si può dire senza neanche una parola, col semp...

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